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Ieri sera eravamo in tantissimi a volere una sola cosa: volevamo i Tame Impala e il loro grande show, e l’abbiamo avuto.
Era il concerto che personalmente aspettavo di più dalla mia estate musicale italiana, complice anche quel live indimenticabile alla rocca di Ravenna tre anni fa, quando ancora i Tame Impala non passavano in radio nazionali, non comparivano nelle pubblicità alla tv, non godevano di un successo così largo, diffuso e capillare, soprattutto tra le giovani generazioni. Tre anni dopo, Kevin Parker e la sua band sono cresciuti moltissimo: in tutto il mondo ovviamente, ma anche qui in Italia, dove le mode, come in periferia, arrivano dopo (semicit.). Per i tantissimi presenti di ieri insomma i Tame Impala non erano soltanto una delle rock band più belle, potenti e illuminate degli ultimi anni, ma la loro band. E i loro concerto, un appuntamento generazionale, in cui poter celebrare la musica degli anni dieci, e il suo pubblico di ventenni e trentenni.
Ad aprire la grande festa ci hanno pensato i Liima, il quartetto nordico formato da tre Efterklang e il percussionista finlandese Tatu Rönkkö di cui vi abbiamo già raccontato molto (qui la recensione del loro primo disco, qui l’intervista uscita pochi giorni prima di Beaches Brew). Dal vivo le canzoni di “ii” suonano molto più calde, ed esce con più vigore e personalità la voce del cantante Casper Clausen: insomma, ancora meglio che su disco. Il sole accende di rosa il cielo dietro al palco, le note industrial-caraibiche di Black Beach fanno alzare le mani al cielo, e i Liima chiudono tra gli applausi.
Entrano sul palco i tecnici del cambio palco, che indossano tutti un inconsueto camice bianco da dottore (?). Una roba strana che non potevamo non documentare e raccontare.
Pochi minuti ancora e all’improvviso un cerchio di luce verde comincia a girare vorticosamente su se stesso, disegnando forme ipnotiche: è il segnale, ci siamo. I Tame Impala salgono sul palco, salutano la folla e attaccano con mezzo minuti di “Nangs”, messa lì soltanto per dirci “ehi sveglia, siamo qui”. Ad incendiare l’atmosfera ci pensa subito dopo l’attacco di “Let It Happen”, che esplode in coriandoli e giochi di luci.
Con un inizio così è tutta discesa, e nel mentre che Parker e la sua band fanno avanti e indietro nel tempo scegliendo il meglio della loro discografia, realizzo che non è certo da tutti poter scegliere un best of di tale portata, con soli tre dischi all’attivo. “Why Won’t They Talk To Me?”, “The Less I Know The Better”, “Elephant”, Eventually”, “Yes I’m Changing”: non se ne dimenticano una, fanno tutte quelle che vogliamo sentire. I brani dell’ultimo “Currents” si prendono le attenzioni maggiori, com’è normale che sia, ma la cosa interessante è che anche i pezzi degli album precedenti suonino più “pieni” rispetto a come ricordavo: la virata pop intrapresa con l’ultimo disco si fa sentire anche nella riesecuzione dei successi passati, e non possiamo che goderne. D’altronde, come abbiamo scritto anche sopra, il live del 2013 è ormai lontano e i Tame Impala che vediamo oggi sono tutta un’altra roba. Tutto molto di più: suono, forza, spettacolarità.
La chiusura finale è affidata a “Feels Like We Only Go Backwards” e “New Person, Same Old Mistakes”: i cannoni a bordo palco sparano altri coriandoli, gli smartphone si alzano verso il cielo a fare foto, le luci colorate e i ritornelli cantati in coro chiudono uno dei migliori show a cui possiate assistere in questi anni.