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Nei primi trentanni del Novecento in Germania la corrente psicologica della Gestalt ridefinì le teorie di percezione della realtà e del comportamento umano, incentrando tutti i processi comportamentali sull’intuizione e il pensiero.
Gli psicologi della Gestalt riassumevano tutto il loro studio in una massima – “il tutto è più della somma delle singole parti” – che è perfetta anche per spiegare il primo disco degli Exploded View, il progetto sperimentale che ruota attorno alla figura di Annika Henderson, cantante ed ex giornalista nata a Bristol ma di stanza a Berlino, e al quale partecipano anche il producer Martin Thulin e i messicani Hugo Quezada e Hector Malgarejo, due musicisti provenienti dalla scena sperimentale di Città del Messico. Quattro artisti che alle loro spalle hanno suoni, luoghi e riferimenti diversi, ma che coesistono perfettamento all’interno di questo omonimo “Exploded View”. Il tutto che è più della somma delle singole parti.
Registrato durante una sola, lunghissima, jam session ospitata nella capitale messicana, l’esordio di questo collettivo è un disco che riprende agilmente e in maniera coerente le sonorità dark, noise, industrial, synth, psych e space. Influenze vastissime, che smuovono paragoni solo apparentemente disparati: dentro potrete trovarci Sonic Youth, Neu!, Death In June, Nico, Portishead, Tangerine Dream – e vi sembrerà assolutamente normale. Il fascino di “Exploded View” è proprio qui, nella sensazione di smarrimento sonoro che la band è in grado di farci percepire.
Il suono catatonico di basso e chitarra nell’iniziale “Lost Illusions” ci trascina fin da subito in una spirale di ipnosi e claustrofobia, dalla quale non siamo sicuri di essere usciti fino alla fine dell’album. Distorsioni e riververi continuano per tutta la durata del disco, contando diversi picchi di tensione e catarsi: “Disco Glove” e “No More Parties in the Attic” per esempio, con il loro suono noise e industrial disturbante e ossessivo-compulsivo, in cui sembra di sentire cantare Kim Gordon sopra i Test Dept. In altri momenti invece il ritmo rallenta, e i giochi analogici con pedali e tastiere servono a creare atmosfere molto vicine alla psichedelia anni ’60: è il caso di “Lark Descending” e “Killjoy”, sicuramente in debito con qualche trip acido, o di “Gimme Something”, con tanto di inserti esotici di chitarra. La temperatura si riscalda, e quella che si sente cantare sembra Grace Slick dal fondo di una caverna. E invece è Annika Henderson, pupilla di Geoff Barrow dei Portishead, con il quale nel 2010 ha pubblicato un album di cover di Yoko Ono, Bob Dylan, Kinks, Skeeter Davies – che a molto a che fare con “Exploded View”. Anche lì, come in questo album, la sensazione dominante era quella di straniamento: brani come “Yang Yang”, “Masters Of War”, “I Go To Sleep” e “End Of The World” reinterpretati con atmosfere dark, che conferivano un fascino inedito e sorprendente.
La natura di “Exploded View” insomma è tutta qui: nella meraviglia dello smarrimento. E forse l’episodio più emblematico di tutto l’album è “Orlando”, che con il suo dream-pop cupo, malinconiconico ma comunque e addirittuta ballabile – serve proprio a non farci sentire perduti del tutto.
78/100
(Enrico Stradi)