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Venerdì 12 agosto
Un anno dopo, ci ritroviamo ancora una volta in Finlandia per l’inizio della dodicesima edizione del Flow Festival (vedi report dell’edizione 2015), nell’area di Suvilahti, uno spazio culturale ricavato da un’ex centrale elettrica. L’area è preceduta da un ampio spazio adibito a parcheggio per le biciclette e da piccoli spazi verdi sempre pieni di avventori del Flow in pausa pic-nic. Insomma, il mood eco – friendly del festival si auto dichiara prima ancora di entrare.
Tra gli artisti che compongono la line-up, molti sono in comune con il Way Out West di Göteborg, e comune è anche la cattiva sorte che colpisce alcuni di loro: come in Svezia, anche in Finlandia viene annullato il live dei The Kills, mentre quello di ANOHNI resta in forse fino all’ultimo.
Per Kalporz il festival inizia alle 18.00 nella Lapin Kulta Red Arena con il live di una delle stelline più brillanti del panorama synth-pop nord-europeo: Jaakko Eino Kalevi, figlio (naturale) della Finlandia e (adottivo) di Berlino, che dopo un timido inizio a fine live balla e fa ballare il suo pubblico. Con nostro dispiacere, il live termina dopo appena quaranta minuti, ma ci consoliamo spostandoci verso il Main Stage, dove alle 19.00 sale sul palco Laura Mvula, cantautrice britannica dalla voce inconfondibile e il jazz nel sangue. Il jazz, sì, ma non il feedback. Perché qualche problema tecnico disturba il live e la Mvula, che si scusa ripetutamente con il suo pubblico, in primis.
(nb: il problema del forte ritorno di feedback viene risolto subito dopo il live della Mvula, perché per tutto il resto del festival il suono è sempre pulito, impeccabile – non solo sul Main Stage, su tutti i palchi del Flow.)
Una breve pausa dopo il primo assaggio di Main Stage e ci dirigiamo alla scoperta di talenti locali, per cui alle 20.15 siamo alla Zalando Factory, giusto in tempo per Elias Gould. Quest’ultimo viene presentato come uno di quelli da non perdere d’occhio quando si parla di artisti emergenti (e promettenti). Complessivamente, però, il live ci delude: qualche linea di chitarra indie – pop (per non dire un’accozzaglia di accordi ripetuta in più o meno ogni pezzo) e l’attitude da idolo delle ragazzine di Gould decisamente non giustificano la creazione di aspettative tanto promettenti.
Fortunatamente, le cose ritornano ad andare di bene in meglio quando lasciamo la Zalando Factory per tornare al Main Stage, dove Iggy Pop è già sul palco. A petto nudo. Con 13° gradi. Non possiamo etichettarlo come best act di questo Flow Festival 2016, ma una medaglia per il coraggio non gliela leva nessuno. Seriamente parlando, il set è memorabile: non mancano le hits degli Stooges e una larga parte di Lust for Life, disco del 1977 concepito e prodotto in collaborazione con il recentemente scomparso David Bowie. Lo show dura più di un’ora e per tutto il tempo Iggy Pop non si ferma un secondo, neanche per prendere fiato, neanche tra un pezzo e quello successivo.
E dopo Iggy Pop c’è giusto il tempo di vedere qualche minuto di Four Tet, che suona nella Black Tent (e, per quel poco che abbiamo potuto vedere, fa le solite scintille) per poi tornare al Main Stage, in tempo per Massive Attack & Young Fathers. A questi va il premio per il live più (politicamente) impegnativo di questa prima giornata di festival: mentre sul palco scorrono le hits, eseguite in maniera impeccabile, lo spettatore non riesce a distogliere lo sguardo dai visuals, che riportano messaggi politici dalla spiccata vena ironica, ma principalmente ricordano i più gravi fatti di cronaca che hanno scosso il mondo negli ultimi mesi.
La serata prosegue con un assaggio di Mura Masa, che ci riporta alla Zalando Factory, ma non ci distoglie dalla nostra vera meta: la Black Tent e le Savages. Chi non le ha mai viste dal vivo dovrebbe rimediare quando prima. Questa band, e in primis la sua leader, Jehnny Beth, trasmettono una forza e un’eleganza impareggiabili (immaginate di vedere Florence and the Machine e una punk band insieme). Su un altro palco, quello della Lapin Kulta Red Arena, sta suonando Jamie xx e voci di corridoio, i cui gusti musicali hanno superato a pieni voti l’attento esame di Kalporz, dicono che non ci siamo persi nulla di interessante.
Sabato 13 agosto
La tabella di marcia del secondo giorno di festival inizia con qualche ora di anticipo rispetto a quella del giorno precedente. Alle 16.00 siamo nuovamente nella Lapin Kulta Red Arena per quello che potrebbe essere (ed effettivamente è) uno dei live più entusiasmanti della giornata e dell’intero festival: Moonface & Siinai. Per coloro ai quali questo nome suona nuovo, basti sapere che si tratta della collaborazione fra il progetto solista di Spencer Krug dei Wolf Parade, proprio di recente risorti dalle ceneri, e la band kraut-rock finlandese Siinai (le due parti si sono incontrate qualche anno fa, quando, dopo lo hiatus dei Wolf Parade, Krug si è trasferito ad Helsinki). Per coloro ai quali il sound di Moonface è familiare, consigliamo di non aspettarsi nulla di simile da questa collaborazione: teso e sincopato, My Best Human Face è un album sottovalutato, troppo forse. Un peccato, considerando che, come Spencer Krug fa notare a fine concerto, questo sarà probabilmente l’ultimo live della band: con i Siinai di base a Helsinki e lui di ritorno in Canada (nella sua casa nei boschi in mezzo al nulla su Vancouver Island, come ci spiega in seguito), sarà logisticamente quasi impossibile continuare a suonare insieme, per non parlare di andare tour.
La malinconia di aver assistito a qualcosa di tanto unico nel suo genere scompare alle 19.00 in punto al Main Stage grazie ai Liima: con il live del Beaches Brew 2016 ancora ben impresso nella memoria, la band “progetto collaterale” degli Efterklang diverte il pubblico per un’ora abbondante. L’insieme di synth e look improbabili (Casper Clausen, per esempio, è mezzo nudo, ma indossa un impermeabile) danno davvero l’idea che questi quattro vengano da un altro pianeta, Marte probabilmente.
Dopo i Liima, passiamo un paio d’ore tra live poco convincenti: quello delle 20.00 alla Lapin Kulta Red Arena dei Chvrches e quello delle 21.00 sul Main Stage di The Last Shadow Puppets.
Per quanto le due band si cimentino in generi ben diversi fra loro – synth-pop per i primi, caro vecchio rock’n’roll (ma anche indie rock) i secondi, hanno molti punti in comune. Su tutti spiccano frontman che da soli fungono da veri e propri “attira-masse” e live fin troppo studiati: e non stiamo parlando di quel modo di semi-coreografare a cui ha assistito chi ha visto gli ultimi live di St Vincent, ma semplicemente di un prodotto pre-confezionato riproposto a più o meno ogni occasione, senza spontaneità.
Il recupero arriva ampiamente con la coppia successiva di live: Hercules & Love Affair nella Black Tent alle 21.30 e M83 nella vicina Lapin Kulta Red Arena alle 22.00. Un po’ scettici – i primi non rispecchiano esattamente i nostri gusti, mentre l’enorme successo dei secondi, fino ad ora ascoltati solo su disco, ci lascia perplessi – non ci aspettavamo di dover ricredere in toto le nostre opinioni. Be’, quasi. Non ci siamo trasformati in fan sfegatati né dei primi, né dei secondi, ma ci è impossibile non riconoscere che entrambi tengono il palco da veri professionisti, dispensando più energia e divertimento di tanti altri acts (dei due prima citati, per esempio). Pare che non siamo gli unici a pensarla in questo modo, visto che per Hercules & Love Affair è impossibile individuare nella folla qualcuno che non stia ballando, o che arrivati alla Lapin Kulta entrare nell’arena sia un’impresa più o meno impossibile a causa della folla radunatasi per gli M83.
La serata prosegue con un salto al Main Stage per il live di FKA Twigs delle 23.00 – su cui torneremo parlando della terza giornata per motivi che risulteranno più chiari al momento opportuno – e via di nuovo della Lapin Kulta Red Arena per Morrissey. Che alle 23.00 si presenta sul palco davanti ai nostri occhi increduli – dei tanti live annullati, chi si aspettava che proprio questo non saltasse?
La punta di diamante del live è “Meat Is Murder” (sì, ancora) che viene accompagnata da un angosciante video di animali ripresi al momento della loro uccisione. Alcune persone lasciano l’arena infastidite. Noi di Kalporz rispettiamo il messaggio e il suo mittente, ma crediamo che ci sia un limite a tutto.
Terminiamo la serata con un assaggio di Floating Points, che suona alla Black Tent a mezzanotte e riconferma il live pulito, bello, coinvolgente dell’Astro Festival di Ferrara, e con Holly Herndon, a cui viene affidata il piccolo stage The Other Sound alle 00.30. Descrivere a parole la musica di questa ragazza californiana non è semplice, perché è qualcosa che in qualche modo si distingue da qualsiasi cosa abbiamo visto fino ad ora. La musica della Herndon va oltre la musica, è uno studio stesso sulla musica e sul ruolo della tecnologia in essa. La Herndon non interagisce con il suo pubblico, è tutta concentrata sul suo computer, ma non manca di ringraziarlo di cuore e intrattenersi con esso a fine concerto. Un live decisamente più intimo rispetto a quando visto finora, una piccola perla in questo festival di grandi nomi e grandi spazi. Il miglior modo di concludere la giornata.
Domenica 14 agosto
Prima di quanto potessimo renderci conto, arriva l’ultimo giorno di festival. Appena varcato l’ingresso dell’area di Suvilahti ci rendiamo subito conto che l’atmosfera è leggermente cambiata: è domenica e i finlandesi che, ligi ai loro doveri, già si vedono a rientrare al lavoro il lunedì mattina, sono molto tranquilli (tranquilli, sì, ma sono anche molti, molti di più rispetto ai giorni precedenti). Oggi, tutto è anticipato al Flow: se durante le prime due giornate gli headliners non vedevano il palco prima di mezzanotte, in questa terza e conclusiva giornata di festival tutto è ampiamente anticipato – SIA, ad esempio, chiuderà il Main Stage alle 22.00. Non manca neppure un occhio di riguardo alle famiglie: durante tutto l’arco della giornata sono allestiti, oltre ai soliti stand di cibo e bevande, anche aree ricreative e attività appositamente ideate per i bambini (e non ci metteremo a discutere di quanto possano essere fortunati i bambini finlandesi, perché noi di sicuro a quattro anni non passavamo le domeniche ai festival).
Il live più atteso della giornata per noi è alle 18.30 alla Lapin Kulta Red Arena ed è quello dei Daughter. Sincero e delicato, il live dice sulla band forse più di quanto vorrebbe: Elena Tonra tra un brano e l’altro spiaccica a malapena due parole (e quando lo fa, bisbiglia), si limita a incantare il pubblico con la sua voce e la sua chitarra, lasciando il compito di interagire ai suoi bandmate. L’isolamento della Tonra non è sintomo di altezzosità, ma di una timidezza, una riservatezza, che si riflettono tutti nel sound della band, che risulta allo stesso tempo intimo e avvolgente. Potremmo chiudere il festival qui e saremmo felici, ma non lo facciamo e a fine concerto ci spostiamo verso il prossimo il palco.
Alle 20.30 si presenta un grande dilemma: meglio vedere Kamasi Washington al Bright Balloon 360° Stage o i New Order alla Lapin Kulta Red Arena? Scelta ardua, per cui cerchiamo di vedere entrambi, iniziando con il primo e i finendo con i secondi: sappiamo che l’ultima parte della setlist dei New Order, o più probabilmente l’encore, includerà una cover di Love Will Tear Us Apart, e quindi perché perdercela. Ma andiamo con ordine: se una cosa abbiamo imparato da Kamasi Washington è che, se nello spazio fanno musica, è sicuramente jazz. Il groove e l’energia sul palco sono palpabili, la sintonia fra i vari membri della band è lampante quanto la disarmante sincerità di Kamasi Washington. È un giorno speciale per lui e per la sua band: per la prima volta nel tour si unirà a loro sul palco il padre di Kamasi, Rickey Washington.
Il live dei New Order, da parte sua, porta con sé tutte le grandi hits della band e l’attesa cover dei Joy Division (che, come preventivato, arriva con l’encore). Sul palco mancano l’energia e la dinamicità di Iggy Pop (paragone non dovuto a una questione di generi musicali ma più “generazionale”), ma il live scorre veloce e, a modo suo, vitale.
A questo punto la serata può considerarsi in dirittura d’arrivo: i più attesi sono già gli headliners, SIA e ANOHNI, che intervalliamo con brevissimi assaggi di Thee Oh Sees – che alle 21.00 conquistano la Black Tent con la loro carica di energia e i loro volumi. E la nuova line-up (sì, ancora) – e di Kaytranada – che nella stessa location alle 22.45 continua l’impresa dei TOS, facendo ballare più o meno tutti i presenti (menzione d’onore alla ragazza che tenta di saltare le transenne e viene immediatamente invitata ad allontanarsi). Interessante e singolare l’accostamento di due artisti così diversi fra loro: la musica ai limiti del punk dei primi non ha nulla in comune con i beats da clubbing del secondo.
Ma torniamo agli headliner, cominciando da SIA, che sale sul Main Stage alle 22.00 e ci offre un live che decisamente non ci aspettavamo e ci lascia piacevolmente sopresi. Contrariamente alla maggioranza dei main acts visti fino ad ora (non solo al Flow, in generale) in cui il frontman/la frontwoman di turno sono al centro dell’attenzione sul palco, SIA resta in disparte, quasi in un angolo del palco, e lascia spazio ai suoi performers. Non c’è Maddie Ziegler, la fenomenale ballerina dodicenne dei video, ma i performers e le coreografie riempiono tutto lo spazio – fisico ed emotivo – a loro disposizione. Ed è qui che torniamo a parlare di FKA Twigs. Il ruolo giocato dalla danza è ugualmente centrale per entrambe, ma in maniera totalmente diversa: per l’una, la danza è un mezzo per esprimere ed esaltare la propria persona (intesa come personaggio sul palcoscenico, ndr), per l’altra musica e danza vanno a completarsi a vicenda, l’una interagisce con e mette in risalto l’altra. Di conseguenza, l’una, SIA, sembra offrire un prodotto persino più ricercato dell’altra, FKA Twigs.
Il festival giunge al termine alla Lapin Kulta Red Arena alle 23.00 con ANOHNI, l’ultimo progetto di Antony Hegarty (ex Antony and the Johnsons) in collaborazione con Ross Birchard, ovvero Hudson Mohawke, e Daniel Lopatin, vale a dire Oneohtrix Point Never. Il live è stato a rischio cancellazione fino all’ultimo a causa di problemi di salute di Antony, che dopo aver annullato le date al Way Out West e all’Oya, pare essersi ripresa.
La presenza di Antony sul palco è così dirompente da distrarre da quant’altro stia succedendo là sopra – come il fatto che anche Oneohtrix Point Never sia sul palco o che Naomi Campbell stia ballando nel video di background.
Complessivamente, quella del Flow Festival è un’esperienza che anche quest’anno ci è piaciuta. Arrivederci al prossimo anno, Helsinki. (Con più foto e fatte meglio.)
(Giulia Capellini)