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La celebrazione artistica della donna continua anche nella giornata tre. Mai negli ultimi anni si era manifestata la pioggia per due dei tre giorni. L’edizione del decimo anniversario fa un’eccezione. Il fango farebbe troppo festival inglese, il Way Out West è più assimilabile a una sfilata educata e rispettosa. Così l’organizzazione stende delle passerelle per facilitare gli spostamenti, comunque, piuttosto agevoli, tra un palco e l’altro. Uno degli aspetti positivi del WOW è la vicinanza tra i palchi. Nessuno vi scavalcherà, nessuno cercherà di rubarvi lo spazio e la posizione. Al massimo qualche minorenne su di giri che sfoga l’astemia forzata per via dei rigidi controlli (i minori sono marchiati con un braccialetto pieno di X) con un’adrenalina incontrollata. Soprattutto per i nomi pop svedesi e, ovviamente per i nomi hip hop, come Parham che arriva al posto di Kelela, a sua volta inizialmente chiamata a sostituire il capriccioso Travis Scott che ha cancellato le sue tappe europee una settimana prima.
Scrosci d’acqua o meno, si comincia piuttosto presto. C’è chi si è appena svegliato come afferma Jesse Hughes degli Eagles Of Death Metal. A prescindere da orario e gusti, fa senz’altro piacere vederli su un palco di un festival, a neanche un anno dai tragici fatti di Parigi. La maggior parte della gente abbandona già il parco dopo aver preso parte a un altro degli show acustici del mattino (quello di Amanda Bergman degli Amason).
Due artiste eleganti e sofisticate rompono il ghiaccio in questo secondo pomeriggio autunnale. La navigata Beth Orton ha ormai quarantasei anni, anche se non si direbbe. Un tempo nota per quel genere che si definiva con un termine orribile folktronica, oggi si può descrivere la sua proposta musicale come una songwriter dal gusto contemporaneo. Un buon sottofondo per asciugarsi un po’ sotto al tendone Linné. Il nuovo album “Kidsticks” è un punto di approdo inedito e dal vivo si sente. Ane Brun è accolta da numeri sorprendentemente alti per l’orario e le condizioni meteo (vale il solito discorso), ma in fondo la compositrice norvegese vive in Svezia da quindici anni. Anche lei alza l’asticella dal punto di vista qualitativo. Il parco Slotsskogen si trasforma anche in questo caso in un teatro all’aria aperta. Il pubblico è muto, il rumore della pioggia fa da sottofondo ai momenti meno carichi.
Un’artista molto più giovane è protagonista qualche centinaio di metri verso l’uscita, nel palco Dungen. NAO, che presenta il suo album “For All We Know” uscito a fine luglio, inevitabilmente offre dei momenti più divertenti e accattivanti rispetto al mood di inizio giornata, con il suo r&b sculettante e immediato. Arriva un mezzo diluvio, ma parte una danza collettiva molto coreografica, fatta di impermeabili ondeggianti sotto la pioggia.
Pioggia che si fa ancora più insistente durante un altro momento revival di quella Svezia Anni Zero alla conquista del pianeta che vi raccontavamo nella rubrica Ikea-Pop. I Deportees si trovano a perfetto agio con il clima e regalano un compendio di vecchie ballad, tra folk, synth pop e praterie Americana. Serve una scossa, il sentore sembra comune. Ce la offre quel fenomeno di Jack Garratt. Producer, batterista incontenibile, vocalist tra R&B e James Blake, manda in visibilio i più giovani e lascia tutti a bocca aperta, oltre a ispirare molta simpatia e tenerezza con quella sua fisionomia da orso nerd vestito da indie rocker anni Novanta. Se l’avete trascurato, riscopritelo. Sempre nel genere, c’è tempo per un assaggio del ventenne produttore britannico Mura Masa prima di tornare verso i tre palchi principali.
Unico grande nome mainstream della scena hip hop americana presente quest’anno a Göteborg, Big Sean non delude le attese. Per lui sembra fermarsi tutto. Anche la pioggia. Persino le ragazzine del caffè che attraversano in lungo e in largo per il parco per vendere caffè caldo in giro si piazzano davanti alla transenna. Tra i protetti di Kanye West e della sua GOOD Music, nato in California, ma cresciuto a Detroit, ha tra i suoi punti di riferimento Notorious B.I.G. e lo stesso Kanye. Non è uno dei rapper più originali d’America, ma il talento non gli è mai mancato. Muro di basse che terrorizza i più piccoli, flow caldo e incontenibile. Convince subito tutti.
A spaccare il sabato a metà, l’unico vero momento in bianco e nero della giornata. Arrivano addirittura i Descendents con un live d’altri tempi, tutto cuore e sangue che riesce a innescare un pogo timido, subito sedato dall’inflessibile security del tendone Linné. “Hope”, “I Wanna Be a Bear”, “Silly Girl”, “Pervert”: una fucilata di anthem senza respiro. Si rompe un basso, ma riescono a trovarne uno, nonostante dopo di loro siano previsti esclusivamente degli act hip hop (dove il pogo e il mosh pie è assai meno timido che per questi momenti punk). Anche il singolo di ritorno, “Victim Of Me”, conserva parte di quell’anima punk inconfondibilmente Descendents. Il bello del Way Out West è che riesce a offrire questi cambi di atmosfera talmente improbabili, da lasciare senza fiato. Saranno tra le ultime chitarre della giornata e del festival.
A orario happy hour, la scelta un po’ anomala di piazzare Jamie xx. In molti si chiedono sempre com’è strutturato il suo set. Quanto è live, quanto è djset. Sul palco è da solo, la sua è una selezione che alterna brani totalmente a caso con i pezzi più ballabili del suo ultimo album. La gente è tutta per lui, ma non è l’alba, non è notte inoltrata e non sembra la situazione perfetta per scatenarsi. Lui la prende con filosofia e cazzeggia senza pudore. Gli svedesi non si fanno mai troppe domande. E ballano.
C’è addirittura spazio per l’indie pop, un tempo marchio di fabbrica Made In Sweden, oggi un po’ appannato e passato in secondo piano per l’ascesa di altri generi e filoni più black e pop in senso commerciale. The Sun Days suonano a sorpresa nella roulotte Gaffa, posizionata affianco al tendone del terzo palco. Il loro nome è un po’ un paradosso in questo weekend, ma propongono uno show semi-acustico che mette in pochi minuti subito in luce la vena melodica della band di Göteborg. Fossero usciti una decina di anni fa, avrebbero fatto impazzire tutti.
Si va verso il tramonto e orde di ragazzini si radunano sotto al Linné per un altro big name del grime londinese che quest’anno come filone è stato preferito dai promoter alla trap statunitense. Anche se non si direbbe, Stormzy, ha solo ventitré anni. Genitori ghanesi, fisico da atleta olimpionico e una presenza scenica imponente. Non a caso Kanye West qualche tempo fa l’aveva consigliato a tutti come uno dei nomi britannici da tenere d’occhio. Devastante. La platea si scatena già quando il dj mette su un paio di brani di Skepta, headliner su questo palco poco più tardi. I più giovani perdono la testa e il controllo. Ancheggiano e twerkano anche delle ragazzine col velo. Il miracolo del rap.
Un altro momento black sotto una pioggia malinconica vede come protagonista la talentuosa Seinabo Sey, che vi abbiamo presentato e consigliato nella rubrica sui 7 act svedesi da tenere d’occhio. La giovane di Stoccolma ha una voce che sembra arrivare dagli States. Soul, R&B, pop elettronico molto fresco e attuale, una band allargata che rende lo spettacolo uno show per grandi platee. Qui è già un fenomeno commerciale, nonostante la sua proposta musicale non sia troppo ruffiana rispetto a tante altre novità svedesi. La matrona soul di origine gambiana si merita ogni ovazione del caso.
Questo sabato è una giornata molto varia e piena di sorprese. Finalmente smette di piovere e sul palco Azalea si manifesta l’ultimo rito dal gusto dark del weekend. I fuoriclasse Massive Attack provano a dimostrare che l’elettronica si possa ancora suonare con una strumentazione rock. Sembra un po’ fuori dal tempo come concezione, ma anche grazie ai visual minimali e dal vago sentore post-apocalittico, l’effetto è alienante. Con loro girano gli Young Fathers, messi al servizio di questo funerale della musica elettronica di fine Anni Novanta. Non mancano i classici, ma è uno show che sa tanto di commiato.
Per rendere ancora più improbabile il mix di suggestioni di questa serata conclusiva, c’è un altro redivivo della scena musicale americana: Henry Rollins. Non canta, non suona, ma si esibisce in un talk show dei suoi sul palchetto Höjden. Un discorso a tutto campo sulla società 2.0, Obama, Hillary, Trump, un ricordo molto spontaneo e commovente di David Bowie e Lemmy, ricordi di adolescenza, confessioni, il rapporto coi fan, le sue comparsate in film e serie TV, e molto altro. Un fiume in piena interrotto solo da un bizzarro e inquietante disturbatore che cerca di recriminare su un’antica rissa durante un concerto in Germania. Jesse degli Eagles Of Death Metal che è tra gli spettatori delle prime file, per un attimo, sembra impallidire. Per fortuna la sicurezza spegne ogni problema sul nascere.
Una sovrapposizione drammatica per la fauna più giovane del Way Out West si manifesta alle 23. Da una parte lo spettacolo di teatro contemporaneo di Sia, tra balletto e musical linchyano, dall’altro il secondo attesissimo momento grime con Skepta. I due palchi sono così vicini da riuscire ad avere anche un assaggio dell’artista australiana che avrebbe davvero poco da dimostrare, ma, se ci fosse il bisogno di sottolinearlo, regala una performance di uno spessore altissimo. Skepta, un po’ penalizzato, da questa contemporaneità, si trova a esibirsi davanti a una platea più raccolta di quella del suo erede Stormzy. Una mitragliata di pezzi degli albori e uno show tutto incentrato su “Konnichiwa”, quarto disco del rapper di Tottenham, già considerato uno dei migliori dischi del 2016. I più aspettano “Shutdown” che piove giù a metà set spazzando via tutto.
Le ultimissime energie servono per godersi la splendida cornice della Haga Kyrkan, la chiesa scelta per gli spettacoli notturni più ambientali e soffusi, da William Basinski ad Hauschka nella giornata di chiusura. Prima dell’ennesimo momento pop scandinavo, con Niki & the Dove che fanno esplodere di buoni sentimenti il Pustervik.
Vale il solito consiglio, il Way Out West è un’esperienza che vale la pena di ripetere.
Non importa la line up. Fateci già da ora un pensierino.