Share This Article
Che fine farà la club-culture degli Anni Zero? I Soulwax provano a rispondere, anche in questo anno domini 2016. In realtà i Soulwax sarebbero marginali in questa partita, rappresentando l’anima rock dei fratelli Dewaele, ma sono inevitabilmente coinvolti in questo interrogativo perché la loro esperienza come 2Many Dj’s li ha portati a mescolare sempre di più i progetti e soprattutto ad avere un pubblico danzereccio che li segue (e li adora) indipendentemente dal cappello, Soulwax o 2Many Dj’s, che indossano.
Ed era da tempo che non tiravano fuori dal cassetto il progetto Soulwax dal vivo: le ultime apparizioni erano state nei tour seguenti alle “Nite Versions” (2005) e a “Most of the remixes…” (2007). Ce li ricordiamo al Maffia (perché Reggio Emilia è stata una capitale europea della clubculture) con il loro spettacolo spaccassassi (era il 2007) in cui giocavano ad essere musicisti che rifanno i dj (di solito è il contrario, sono i dj che remixano i musicisti).
Dopo poco meno di 10 anni non è cambiato moltissimo. I Soulwax dal vivo evolvono oggi quel concetto amplificando la base ritmica: “se dei musicisti devono suonare della musica elettronica dove il ritmo la fa da padrone, perché non mettere 3 batterie?”, devono aver pensato. Tendenza evolutiva in atto dimostrata anche dai Radiohead con le 2 batterie. Non si sta parlando che non ci siano stati nel tempo progetti di musica alternativa con più batterie (pensiamo subito ai Boredoms, ma gli esempi potrebbero essere tanti), ma che band che prima – “normalmente” – ne utilizzavano una, stanno oggi moltiplicando il numero di questi strumenti sul palco. Se si vuole essere maliziosi si può dire che nel caso dei belgi ce n’era bisogno per sostituire Steve Slingeneyer, ex batterista dei Soulwax che era im-pres-sio-nan-te per l’energia che espandeva. E poi non batteristi da poco: due di questi ieri sera erano Igor Cavalera, che gli amici metallari conoscono bene come ex dei Sepoltura, e la moglie di Igor, Laima Leyton (…ménage familiare rumoroso?), davvero brava.
Il set è stato lungo un’ora ed ininterrotto, come se si fosse trattato di un djset. Difficile, umanamente, suonare di più senza stacchi o pause. Spazio alle classiche “KracK” e “NY Excuse” ma anche a roba tratta dall’ultimo “Belgica” (Noah’s Dark, “Inward”) dove i fratellini hanno composto brani per gruppi immaginari di un film. Il cantato è limitato all’osso, come se ci fosse un vocalist, e di chitarre elettriche solo l’ombra in un paio di brani. I Soulwax in dimensione live sono dunque ancora immersi nelle atmosfere delle discoteche, e non vogliono mollarle anche se oggi pare essere una cultura che ha già espresso tanto e che offre spunti musicalmente meno interessanti, e nonostante gli stessi Soulwax abbiano ripreso confidenza con il rock attraverso la colonna sonora “Belgica”. Ma tanto loro sono i maghi del mashup, del rimescolamento di generi, frequenze e tempi, degli Anni ’80 e di tutto quello che ne è venuto dopo, e dunque si sanno giostrare attraverso tutti questi contenuti diversi per creare qualcosa che dieci anni fa impressionava, che ora non sorprende pur rimanendo, bisogna dirlo, un’esperienza ancor oggi poco battuta o praticata e, nel caso dei Soulwax, unica.
Forse dunque non c’è da chiedersi circa la fine della clubculture: tutto è in evoluzione, e gli elementi precedenti si tengono, si fondono e si evolvono modificandosi. I Soulwax hanno già fatto la loro parte in questo continuum, adesso sarebbe tempo che qualcun altro ci portasse ancora oltre.
(Paolo Bardelli)