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Ci sono dei gruppi per cui, dall’adolescenza, resta un amore profondo e quasi incondizionato nonostante l’inesorabile declino dovuto alla mancanza di nuovi spunti artistici: i Placebo, sfortunatamente, sono uno di questi gruppi.
Quando a marzo annunciarono il tour per la celebrazione del loro ventesimo anno di carriera – già vent’anni!!! – con la promessa di poter sentire live canzoni del repertorio che erano sparite dalle scalette da ormai un decennio buono, per me fu un Natale fuori stagione: il concerto di apertura del tour, in un club per un migliaio di persone, ad una mezz’oretta d’auto da casa… non mi sembrava vero!
…e in effetti non è stato vero.
Il concerto è stato un completo disastro: due pezzi e poi siamo stati tutti inghiottiti nelle visioni allucinate di Brian Molko che hanno portato alla cancellazione dell’evento.
Ma andiamo con ordine: la scaletta, sbirciata mentre veniva allestito il palco, manteneva abbondantemente quelle promesse di revival nostalgico lungo la carriera del gruppo, con pezzi sia da “Placebo” che da “Without you I’m nothing”, da troppo tempo assenti live e che sono il motivo per cui questo gruppo ha effettivamente lasciato un segno nello scenario musicale di fine anni ’90 e inizio nuovo millennio.
I tecnici sul palco segnalano che è tutto pronto ed inizia l’inconfondibile riff di apertura di “Pure Morning”: lungo la schiena un brivido di emozione e anticipazione. I musicisti arrivano, Stefan Olsdal imbraccia il basso e… sembra a me o ci sono un paio di giri di troppo? Cosa sta aspettando Brian Molko ad entrare in scena? Eccolo, arriva, e con quel suo fare da prima donna imbraccia con comodo la chitarra e attacca preciso la canzone. Pubblico deliziato.
Secondo pezzo: “Loud Like Love” da uno dei lavori più recenti. Qualcosa inizia a stonare, anche se distratta dal fare foto, il testo, gli stacchi, non mi sembra proprio tutto a posto. Ma è il primo concerto del tour, imprecisioni sono ammissibili sebbene faticose da concedere a dei professionisti in giro da 20 anni.
E poi succede: Molko si avvicina al suo compare e quella che sembra il solito scambio di aggiustamento dei suoni o dei tempi si allunga un po’ troppo, le espressioni si induriscono finché un Olsdal scocciato si stacca gli auricolari ed esce di scena.
Il pubblico nel frattempo assiste ad un siparietto delirante di Brian Molko, che inizialmente sembrava una delle sue solite pièce da prima donna, e invece è stata l’esternazione di una notevole confusione mentale, dove vagheggiava di piedi che rischiavano di essere amputati e allungandosi sul pubblico chiedeva “ma siete veri? siete davvero qui?”.
Non sapremo mai in che dimensione fosse Brian Molko giovedì sera mentre mille e più persone erano al Train ad Aarhus per lui; speriamo solo che fosse un posto ben più piacevole di quello in cui ci ha lasciati, con l’amarezza di un concerto interrotto e la delusione nel vedere che nonostante gli anni, Molko è ancora un personaggio contraddittorio, una maschera di arroganza che nasconde debolezza e fragilità, incapace di affrontare la vita a viso aperto.
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Nota: l’interruzione del concerto è stata annunciata da Olsdal accompagnata da sentite scuse e un po’ di vergogna per la misera performance offerta.
Nel comunicato ufficiale rilasciato il giorno successivo si fa riferimento a “una reazione inaspettata a nuove medicine prescritte a Molko che hanno fatto si che non fosse in condizioni di portare a termine il concerto”.