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Dall’invito a dormire e sognare alla sua piccola al mare che succhia il sangue dei marinai, dall’onda calabra a Santo Stefano, ne ha fatta di strada e di chilometri Peppe Voltarelli.
Il suo disco “Voltarelli canta Profazio” gli è valso il premio Tenco e così abbiamo fatto una chiacchierata con l’eclettico alfiere di Cosenza.
Da pochi giorni ti sei esibito a Sanremo per il Club Tenco da vincitore di Targa grazie al tuo ultimo lavoro “Voltarelli canta Profazio”. Cosa ti ha portato a interpretare le canzoni di “mastro” Otello, qual è lo spirito di questo lavoro e la fortuna che ti aspetti per esso?
Attraverso questo lavoro ho avuto l’opportunità di conoscere il folk italiano dagli anni 50 ad oggi. L’intento dell’operazione è duplice, personale e politico, perché facendo Otello Profazio scavo nel suo repertorio, studio la sua storia ed attraverso le sue canzoni e le sue ricerche posso diffondere la sua opera alle nuove generazioni. Questo processo mi ha fatto crescere molto negli ultimi tre anni e la gioia per la Targa Tenco è condivisa con tutti quelli che hanno creduto a quest’idea, in primis l’editore Squilibri.
Nella tua vita artistica, non solo come musicista, il racconto ha un posto privilegiato, si direbbe quasi un’esigenza. Attraverso questo rapporto con la narrazione, cosa vuoi piantare nel tuo pubblico e cosa ti auguri di vedere germogliare un giorno, magari grazie anche al tuo lavoro.
Il Racconto è materiale per le canzoni, è tempo condiviso, parole, in alcuni casi è un antidoto contro la solitudine meglio delle medicine!
E’ conoscenza delle famiglie, delle strade… il racconto è un esercizio: serve a guardare il mondo da tanti punti differenti.
La musica senza racconto può diventare inopportuna.
A molti ragazzi che si avvicinano al canto, ad esempio, manca un’idea di narrazione, una lettura, per questo le loro voci suonano tutte uguali e le loro carriere sono di grande brevità.
Oltre la parte testuale credo esista un racconto emozionale, sonoro, epico ed è questo per me: scavare e camminare.
Il resto è il negozio di Magnum davanti al Duomo di Firenze.
Chi ascolta dei fatti, dei racconti, delle canzoni, si trasforma e si mette in discussione, gli vengono delle voglie come se avesse bevuto un litro di vino, ed esce dalle sedie dov’è seduto per muoversi!
Se accade questo è un miracolo, siamo vivi e quello che facciamo serve.
In occasione dell’assegnazione del premio Nobel a Bob Dylan, ha ripreso vigore la discussione sulla mancanza di riconoscimenti e luoghi per la musica d’autore in Italia.
Ti sei chiesto perchè od in fin dei conti ritieni che sia meglio così, viverla ed ascoltarla lontana da quei meccanismi di distruzione di massa?
Manca il pubblico.
Bisogna insegnare ai ragazzi ed ai professori la passione per la lettura, per la poesia, per il cinema. In questo modo i concerti saranno più affollati e ci sarà più offerta e più possibilità di scelta. Ma fin quando esisteranno i cartelli e i monopoli continueremo ad essere il paese in cui tutti mettono lo stesso Jeans e le stesse scarpe ascoltando lo stesso cantante in cuffia.
Qual è il disco che più ha influenzato la tua vita e dunque la tua arte, e quali artisti stai ascoltando in questo momento con più curiosità.
Non c’è un disco in particolare, ci sono delle fasi. Quando ero a Bologna, nei primi anni ’90, ascoltavo molto punk, da quello italiano dei Kina, Negazione, Franti, Contropotere ai False Prophets, No means No, Thin White Rope e poi Mudhoney e il grunge dei Nirvana.
Poi ho iniziato a scoprire la world music come Nusrat Ali Khan e gli italiani Mau Mau, Agricantus, Re Niliu. Il mio percorso mi ha portato in seguito a cercare l’essenzialità: il primo Dylan, Gutrie, Johnny Cash, Bragg fino a Profazio e Matteo Salvatore, Ciccio Busacca, insomma i cantastorie. Mi piaceva molto sentire Music for Airport di Brian Eno sognavo di viaggiare sempre.
Adesso ascolto molto le canzoni di Leo Ferrè
In conclusione, da che parte va la musica italiana, la scrittura dei giovani autori e anche di quelli un pò più grigi nei capelli da un lato, il mondo degli spazi e della produzione musicale dall’altro.
Il meccanismo industriale è alla deriva, mancano idee davvero rivoluzionarie, le scritture che nascono in questo periodo riflettono questa situazione. Bisogna avere pazienza e coraggio di sperimentare strade nuove e non aver paura dei fallimenti, che quasi sempre aiutano a crescere.
Domanda non musicale, continueremo a campare d’aria o in futuro potremo soltanto respirarla?
Mia mamma diceva spesso che mio padre le faceva vedere la luna nel pozzo oppure diceva sempre la parola “chimera”, che mi ha sempre incuriosito.
Noi meridionali, se ci vogliono dare soldi, sai cosa gli rispondiamo? Non li vogliamo!!
Preferiamo la purezza dell’aria