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“Up” (1998), primo album senza il batterista Bill Berry, da poco dimissionario, è il disco che non ti aspetti dalla band di Athens. Dal tocco elettronico, atipico ed intimista, lontano anni luce dalle prove precedenti della band. Dopo “Monster” e “New Adventures in Hi-fi”, dalla forte impronta rock, i R.E.M. senza un batterista fisso – le poche parti di batteria sono suonate da turnisti di eccezione, Barrett Martin e Joey Waronker)- registrano tra Seattle e Athens quattordici brani tra ambient ed art pop. Si apre un nuovo capitolo della storia dei R.E.M.: sono passati dieci anni dall’abbandono dall’etichetta indie I.R.S. e solo qualche anno dai fasti dei primi anni novanta (“Automatic for the people” su tutti e il gruppo si ritrova senza Berry a tracciare nuove strade sonore.
Non è mai facile reinventarsi, tanto meno per una band dalla carriera ventennale. Difficile ripetere i capolavori dei tempi che furono e che per definizione non saranno mai più. “Up” è un tentativo, riuscito solo a tratti, di opera pop tardo-contemporanea. Riporta in note le impressioni a caldo del fluire quotidiano, tra aeroporti e uffici. Nel brano di apertura “Airportman”, breve frammento di suoni post-industriali, si percepisce il respiro dell’uomo di affari che passa ore, giorni in aeroporto. “Daysleeeper”, ballata acustica, ne raffigura i pensieri e i sogni sul sorgere del primo bagliore mattutino. Ne consegue un perfetto ritratto della società liquida: la mancanza di certezze, punti fermi e la continua ricerca di un’identità. I R.E.M. stessi sono alla ricerca di un profilo artistico perduto, brani ibridi come “Lotus” e “Hope”, sono frutto di un’instabilità di fondo.
Il profondo senso di smarrimento, catturato dai battiti elettronici altalenanti e sincopati, emerge nell’ampio flusso di immagini, fotografato dalle liriche di Stipe: il professore insicuro e triste (“Sad Professor”), l’apologo, pronto a scusarsi per ciò che è stato “I wanted to apologize for / Everything I was”(“The apologist”), il protagonista di “Suspicion”, incapace di intraprendere la benché minima relazione sociale. L’animo umano dei protagonisti descritti in “Up” e della band stessa cela ombre (“Hope”, “Diminished”, “Parakeet”) e luci (“At my most beautiful”, “Why not smile”, “Walk unafraid”). Il merito dei R.E.M. è di mostrarle, senza nascondersi dietro a futili illusioni.
Cadere per risalire.
72/100
(Monica Mazzoli)