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È nella cornice del Leoncavallo a Milano che Tricky presenta quest’anno per la seconda volta in Italia (e per la seconda volta nel capoluogo lombardo, se consideriamo il concerto dello scorso marzo) il suo nuovo progetto, “Skilled Mechanics”, prodotto dalla sua False Idols e accolto in maniera contrastante dalla critica.
L’immenso salone dello spazio sociale fa fatica a riempirsi per intero, anche a causa del giovedì notte che non invita a concedersi troppe libertà notturne, in una città in cui la sveglia suona inesorabilmente tutte le mattine.
Fin dall’iniziale “I’m not going” (brano che apre anche l’album) Adrian Thaws, angelo nero dalla faccia tenebrosa, si dimena sul palco con le sue movenze frenetiche e le sue pose schizofreniche e inquiete, ma si percepisce subito che la musica fa fatica a mandare le giuste vibrazioni. E anche il calore del pubblico non raggiunge mai temperature elevate, lasciando un clima tutto sommato tiepido sotto al palco.
Quella di affidarsi ad una chitarra distorta e graffiante e alle ritmiche minimali e potenti del fidato Luke Harris è una scelta che paga soltanto ad intermittenza, e se da un lato riesce a dare una discreta resa in brani come “Here my Dear” e “Boy”, dall’altro si rivela ben presto monotematica e piatta, non del tutto convincente.
E così, dopo una manciata di brani, ecco comparire la base di “Overcome”. Un semplice accenno, un piccolo ricordo, di fronte al quale il pubblico non può non appassionarsi e gioire. Ma si tratta di un breve interludio. Tricky ripete al microfono «Don’t be scared!», ringraziando e invitando il pubblico a seguirlo nel suo nuovo percorso, quello di un artista che cerca di svincolarsi dal passato, portando avanti la sua ricerca espressiva con un trip(-hop) asociale e solitario, che non impressiona particolarmente, ma che ha il rarissimo merito di non cedere alle tentazioni da classifica né agli ammiccamenti mainstream.
I fans, quelli veri, sanno riconoscere la coerenza stilistica di un artista, anche e soprattutto quando le ispirazioni diventano carenti, o quando quel che si tenta di proporre come novità non è nient’altro che un mix di soluzioni già sentite. E se non è certamente grazie alle canzoni di “Skilled Mechanics” che Tricky riesce a guadagnare l’affetto incondizionato del pubblico, non è nemmeno corretto dire che viva ancora di rendita da Maxinquaye e dalle collaborazioni con i Massive Attack: non renderebbe giustizia ad un artista che ha sempre deciso di intraprendere il proprio percorso di ricerca assumendosi in prima persona le responsabilità del suo lavoro, convincente o deludente che sia.
Nella musica il coinvolgimento con il pubblico è un qualcosa che va ben al di là dalla semplice riuscita dei brani e della loro efficacia. Il folletto nero va avanti con il suo sprechgesang, dandosi da fare con l’energia di un ventenne, muovendosi senza sosta da una parte all’altra del palco. E così poco importa se a fine concerto si va avanti con il riff minimale e reiterato fino allo sfinimento di “Here my Dear” (non a caso riproposta nel bis finale, fra i brani più convincenti della serata). Il pubblico sale sul palco, abbraccia Adrian, balla con lui. Perché anche se non convince, a questo tricky kid non si riesce davvero a dire di no.
(Gianpaolo Cherchi)