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Un disco che richiede tempo, “Hippie Dixit”, quarto lavoro solista di Amerigo Verardi, cantautore e musicista Brindisino che da anni, in solitaria o con progetti condivisi, cerca di portare la psichedelia nella musica italiana.
Un disco che si muove lento, che guarda e ascolta invece che cercare consensi; un disco che, metaforicamente parlando, aspetta di essere “attraversato”. Passarci dentro, concentrandosi e concedendosi del tempo. Vuoi perché è un doppio disco con brani mediamente lunghi (dai 10 minuti di “Chiarezza” all’intro de “L’uomo di Tangeri” con i suoi 14 minuti abbondanti) ma soprattutto perché questo non è un disco che racconta qualcosa ma te la fa immaginare. Tutto è nella testa e negli occhi di Verardi, noi attraverso le liquide chitarre acustiche, ai suoni del bouzouki (strumento a corde molto utilizzato nella musica folk) e dalla voce evocativa dell’ex Allison Run e Lotus riusciamo ad addentrarci in un mondo che forse abbiamo scordato. Troppo presi dalla frenesia, troppo attenti a rimanere nei tempi, troppo spaventati di perderci qualcosa. Io in primis.
Però ce l’ho fatta, ho superato lo scoglio del tempo (me lo sono forzatamente regalato) e ho iniziato ad ascoltare “Hippie Dixit” lasciando le orecchie libere e gli occhi lontani da distrazioni. Ho sentito sabbia calda valicando la splendida e ipnotica “L’uomo di Tangeri”, ho riscoperto la bellezza della mia lingua in “Pietre al collo”, ho pensato che voglio sentire suonare dal vivo “Due Sicilie” perché il rock può ancora trasmettere emozioni, ho riposato la carcassa stanca nell’oasi di pace di “A piedi Nudi”, ho respirato i profumi di un oriente sempre più vicino in “Viaggi di Paolo” e ho capito che per fare musica servono canzoni come “A me non basta” (di Alessandro Tomaselli), perfetto connubio di poesia, trasporto e spiritualità.
Ho visto e sentito tutto questo in solo un’ora e mezza. Ho ancora 22 ore buone per tornare ad essere un uomo normale.
75/100
(Nicola Guerra)