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L’esterofilia corrisponde ad uno status quo che se abbinato ai confini italici raggiunge la sua massima altezza immaginaria, leit motiv costante dal quale, a volte, è necessario astrarsi. L’astrazione è quell’opera di forza che ci può permettere di apprezzare la bellezza dei nostri territori nascosti: Slow Light, l’ultimo lavoro di Sonambient, ci suggerisce il metodo.
Sonambient, è la muta dietro il quale si cela Andrea Buzzi, producer friulano di stanza a Londra, sonorità bass music, UK electronic, echi ambientali; esordio assoluto per lui nel 2012 con l’Ep “Daily Karma” seguito l’anno successivo da “Remnant” prima full lenght release in cui esordisce nel collettivo Megaphone Music, poi, il remix album “Fragments” nell’aprile 2014, arriverà poi il suo secondo lp di lunga gittata “Yonder”, uscito in coproduzione White Forest/Megaphone, infine, nel gennaio di quest’anno lo split ep “Illusion” per 51 Beats.
“Slow Light”, suo ultimo lavoro, è il suo terzo album sulla lunga distanza, un nuovo terreno interiore ed esplorativo raccontato per mezzo di una decade sonora.
L’introduzione nel personalissimo humus sonoro è affidata a “The smallest part”, un’isola strumentale pianeggiante abitata da breakbeat e chop vocali comunicanti, poi si parte zaino in spalla verso “Disappearing slowly”, una salita rocciosa, difficile da scalare, si cade, ci si rialza, merito di un synth organico e mutevole che ci accompagna fino ad una pianura, lì inizia una battaglia, la prima, a quel punto prende forma “Better never”, ci si ferma per riprendere fiato, si distendono le bende sulle lacerazioni, “Early neon”, riprendiamo la salita con “Don’t Panic”, dove elettroni si sprigionano, si scontrano con echi e delay ad una quota altissima, immaginifica: a quel punto, l’interiore si esteriorizza, una rivelazione inaspettata, si materializza un mantra, “Erasing traces”.
Le due tappe seguenti sono “La città è un ambiente ostile” ed “Embers”, aprono e chiudono una parentesi in cui si guarda con nostalgia indietro, prima si destruttura un vecchio passaggio discohouse poi, l’entrata a gamba tesa sul marmo dancefloor, quello sarà il luogo dove si svolgerà un’altra battaglia, la finale: “Lower ground floor nostalgia”.
A questo punto si sente la necessità di recuperare le energie, siamo in vetta, ci si affaccia in “Grass in the suburbs” e, si scorge il tramonto, un tramonto indimenticabile.
“Slow Light” è un tragitto che rafforzerà chi avrà il coraggio e la tenacia di percorrerlo.
87/100
(Matteo Mastracci)