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Il nome dell’Antoniano, teatro bolognese, è legato a quello de Lo Zecchino D’oro, manifestazione canora per l’infanzia. La programmazione degli eventi, però, è aperta anche all’organizzazione di spettacoli musicali orientati verso il – genericamente inteso – rock: Low e Yo la Tengo, i nomi più interessanti che si sono esibiti. Il 19 febbraio, in collaborazione con il Covo, è stato il turno dei Teenage Fanclub. Il concerto, l’unico italiano del tour europeo della band power pop scozzese in supporto ad “Here” (2016), è l’antitesi dello show teatrale: ai concerti dei TFC non si sta fermi a sedere in poltroncina – in galleria o platea (poco importa) – e si è generalmente travolti da ritornelli e riff da amore al primo ascolto che fanno venir voglia di ballare. I presupposti, quindi, per un concerto dei Teenage Fanclub a Teatro non sono dei migliori, soprattutto se l’acustica – come nel caso dell’esibizione di domenica – non è ottimale. Invece, malgrado in più occasioni i presenti non abbiano potuto apprezzare appieno le voci di Norman Blake, Gerard Love e Raymond McGinley (i tre cantanti ed autori del gruppo), le canzoni – con la C maiuscola – sono riuscite a venire fuori. Anzi, è proprio dal vivo che è possibile toccare con mano la potenza di certi brani – classici del pop chitarristico anni novanta – e capire cosa voglia dire scrivere pezzi strofa-ponte- ritornello, semplici ma efficaci, fuori da ogni moda (all’epoca il grunge e il brit pop) e passatisti nella misura in cui sono fieramente ancorati ad un passato dove la cosa più importante era il formato canzone, che nel mercato discografico odierno sembra non essere più centrale. I Teenage Fanclub sono, quindi, la cosa meno fashion che si possa vedere su un palco perché ad essere protagonista – cosa banale da dire – è la musica : armonizzazioni vocali nella migliore tradizione pop, chitarre scintillanti e melodie impossibili da scacciare via dalla testa. Disco dopo disco, dagli esordi più rumorosi e sonici (il debutto “Catholic Education” del 1990 e il divertissement “The King” del 1991) agli album più sfacciatamente power pop – “Bandwagonesque” (1991), “Thirteen” (1993) e “Grand Prix” (1995) – e alle produzioni del post- 1997 più jangle (pop), con venature più sixties e vibrazioni folk, acustiche e più raccolte, gli elementi fondamentali della scrittura dei tre scozzesi rimangono sempre gli stessi: linearità ed accessibilità (pop). La scaletta di Bologna, in questo senso, è una perfetta fotografia della cifra stilistica del gruppo: c’è continuità qualitativa nelle canzoni di Blake, Love e McGinley perché esiste una condivisione di idee, melodie ed armonie. Un gruppo senza leader e senza (pop)star e dove i brani vengono cantati e suonati da tutti: l’autore della canzone fa la voce principale e gli altri – a turno – armonizzano. Ad ogni pezzo cambia, quindi, il fulcro centrale della band: se in “Start Again”, intro del concerto, è Norman Blake ad essere il centro di gravità dell’armonizzazione del gruppo, nel brano successivo, “Don’t look back, è Gerard Love ad esserlo e in quello ancora dopo, “Hold on”, lo è Raymond McGinley. E così via, sempre a girare e a sviluppare, di conseguenza, una circolarità armoniosa in cui anche le canzoni più recenti, quelle dell’ultimo album, riescono ad essere in perfetta sincronia con le produzioni degli anni passati, ormai classiche. Ed anche una cover, “He’d be a diamond” (brano in origine di The Bevis Frond), già proposta più volte (anche in presenza dello stesso Nick Saloman), si inserisce nel suono d’insieme del concerto formando un complesso sonoro coeso, coerente e genuino. Un situazione (musicale) simile si può creare solo quando sono le canzoni a venire prima di tutto, ed è il caso del concerto dei Teenage Fanclub a Bologna.
Scaletta:
(Monica Mazzoli)