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“The study of people and spaces“, è da questo interrogativo che prende forma il nuovo lavoro di Simon Green, il producer britannico che quando indossa il mantello sonoro chiamato Bonobo eleva le percezioni sensoriali alle massime vette dell’udibile umano.
Migration, rappresenta il suo sesto lavoro, che succede a l’acclamato “The North Borders” (Ninja Tune, 2013); l’opera si colloca in un nuovo spazio fisico, Los Angeles, dove Simon pare abbia da poco trovato casa vicino a Jon Hopkins (non a caso, suo è il piano e le keyboards della coprodotta title track dell’album) e, al tempo stesso, in un nuovo scenario introspettivo, ancor più intimo rispetto al passato.
L’album viene anticipato dal video di “Kerala”, diretto magistralmente dal londinese Bison (visual portfolio: Hopkins, Coldplay, London Grammar, Bastille, Om Unit), che da subito svela le carte elettroacustiche di Simon con l’aggiunta del sample vocale della hit ’94 “Baby” di Brandy, il concept viene chiarito dallo stesso Simon sulle pagine dell’Independent, rotte migratorie di volatili in rotta verso la città indiana, evocazione tramite lo “start-and-stop beat” del senso di pausa durante un riposo prima di continuare il viaggio transfrontaliero.
“Migration” la title track dell’album, scritta a due mani con il nuovo vicino di casa (di collina, in realtà), Jon Hopkins è un crescendo sensoriale, manifesto struggente in partenza che poi si evolve in un vero e proprio atto di disperazione; “Break Apart” inaugura i quattro featuring, poderosi, che si incontreranno durante la migrazione, qui svetta l’eleganza vocale di Michael Milosh (front dei Rhye), incastonata in un visual aereo diretto da Neil Krug che svela la rotta migratoria fin qui seguita.
Prima del secondo atto collaborativo, incontriamo la triade composta da “Outlier”, “Grains” e “Second Sun”, con la prima si china il capo verso il dancefloor, Outlier infatti è il nome del suo live showcase series inaugurato al Tobacco Dock London, la seconda è una gemma acustica slow meditativa costruita su un vocale del maestro del folk americano Pete Seeger, l’ultima delle tre è una carezza delicata che combina magistralmente assoli acustici di chitarra, strings e feedback.
“Surface”, inaugura il featuring con Nicole Miglis (voce degli Hundred Waters), qui si scorge una marcata impronta di tipo pop, tutt’altro che scontata, “Bambro Koyo Ganda”, featuring con la band marocchina Innov Gnawa, da molti considerato come il brano più rappresentativo dell’intera opera, a ragion veduta, esemplifica la fusione di diversi mondi e forse per questo è la sintesi del concetto portante dell’album, sonorità tribali e subsahariane si mimetizzano dentro gli schemi downtempo acustici senza mai risultare fuori corda, il brano non straripa mai verso derive autoritarie.
Con “Ontario” trionfante e malinconica composizione adattissima al live concert, ci si avvicina all’ultima collaborazione, “No Reason”, qui entra Nick Murphy (fka Chet Faker) dove synth melodici e suggestivi ci traghettano su un territorio pop malinconico saldo, “7th Seven” e “Figures” sono due donne seduttrici che chiudono il cerchio su un lavoro completo, circolare, elegante, mai sopra le righe.
Il 13 Marzo al Fabrique di Milano, Bonobo farà tappa (unica data italiana) dalle nostre parti: l’evento si preannuncia sin da ora come assolutamente imperdibile per assistere alla sua personalissima migrazione transoceanica.
90/100
(Matteo Mastracci)