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A pochi giorni dall’imperdibile data unica degli Austra, prevista per mercoledì 15 marzo al Biko di Milano (vedi evento), abbiamo fatto due chiacchiere con la fondatrice e titolare del progetto, Katie Stelmanis. Tra i temi della chiacchierata, si è parlato dell’ottimo ritorno sulla scena della band di Toronto, con il concept “Future Politics” (vedi recensione), uscito a inizio gennaio per Domino. Lei ha definito “Future Politics” “un impegno per sostituire la distopia che si avvicina”. Così presto, dagli aspetti musicali del disco, siamo finiti a parlare di arte, tecnologia, accelerazionismo e di molto altro. Sono state annunciati altri tre passaggi estivi per la band che suonerà domenica 9 Luglio al Lars Rock Fest di Chiusi (SI), lunedì 10 Luglio a Sexto ‘Nplugged in Piazza Castello a Sesto al Reghena (PN) e martedì 11 Luglio allo spazio estivo del Covo Club di Bologna (info: Comcerto).
Analizzando il vostro percorso dal 2009 a oggi, qual è la principale differenza tra Austra, agli albori, e Austra oggi. Ho come l’idea che stiate andando verso una sorta di pop contemporaneo, sempre più sganciata dai rimandi dal sapore synth-pop/wave degli inizi.
Non saprei, non la metterei così. In realtà non ho mai cercato ispirazione nel synth-pop. Facevo musica in base a ciò che avevo a disposizione per suonare, cosa poi ancora vera oggi, in realtà. Musicalmente, le mie influenze hanno un raggio molto ampio, dalle band elettroniche degli anni ’90 passando per Massive Attack e Portishead, e più di recente vanno dall’electrocumbia latinoamericana alla musica da club tipicamente europea, alla techno. A essere onesta, non ascolto molta musica pop.
“Future Politics” sembra una sorta di visione contemplativa del mondo. Quali sono le chiavi di lettura migliori che metteresti in luce per guidarci in questo concept?
Per come l’ho pensato “Future Politics” parla di cambiare il modo in cui la gente pensa. Non parla di politiche di governo, ma politiche personali. Voglio incoraggiare la gente a mettere in discussione i propri riti, le proprie identità e i modi di organizzarsi. Vorrei che la gente si rendesse conto che tutte le verità che consideriamo tali – dal matrimonio al denaro – è solo una costruzione umana che può essere rimpiazzata da qualcos’altro.
Ho letto che mentre scrivevi il disco, ti sei appassionata a lavori come il “Manifesto per una politica accelerazionista” di Nick Srnicek e Alex Williams. In molti lo collegano alla musica contemporanea, guardando a certe avanguardie techno (ma non solo), figlie di una particolare estetica. Per te esiste davvero una musica in qualche modo accelerazionista, oggi?
Credo che, dal momento in cui il concetto di “accelerazione” ha a che fare con abbracciare la tecnologia per spingerla verso un progresso senza inibizioni, può esistere una musica accelerazionista. La definirei come musica che usa la più recente e avanzata tecnologia musicale esistente. Una musica che diventa tecnologia e che tende a rendere la produzione e la creazione di musica più semplice e più accessibile.
Alla luce di ciò che dici, quale pensi sia l’equilibrio più virtuoso tra arte e tecnologia ai nostri giorni?
Credo che qualunque artista che voglia abbracciare la tecnologia nel suo campo, in qualche modo riesca a creare un virtuoso equilibrio. Per quello che vedo la maggior parte degli artisti sono assolutamente contro o assolutamente a favore della tecnologia. Io resto tra i sostenitori e sono molto esaltata nel vedere come nel tempo i suoi sviluppi continuino a modellare e influenzare il mondo dell’arte.
A proposito dei temi che hanno ispirato “Future Politics”, ce ne sono altri? Non parlo esclusivamente di ispirazioni musicali.
Sono coooooosì tanti. Davvero tanti libri: “Inventing the future: post capitalism and a world without work”, sempre di Alex Williams e Nick Srnicek, “Woman On The Edge Of Time” di Marge Piercy, “Brief History of Neoliberalism” di David Harvey. Musicalmente ho iniziato dai Massive Attack e sono finita ad Alice Coltrane, oltre, come detto prima all’electrocumbia, a Chavela Vargas e Objekt.
Il tuo album è uscito alla fine dell’era Obama. Dove credi che stia andando il mondo? E dove sta andando il Canada? Da canadese, credi che il tuo Paese possa guadagnare appeal dal crescente malcontento verso gli Usa di Trump diventando l’unico modello possibile di culturalismo e inclusione sociale del mondo occidentale?
Al momento non ho idea di dove stia andando il mondo. Credo che nessuno possa prevederlo realmente. Stiamo vivendo in una fase di incertezza senza precedenti e che tutti siano un po’ spaventati dal futuro. Il nostro primo ministro non è così meraviglioso come tutti pensano, purtroppo. È un progressista sui diritti civili, ma in altri sensi è piuttosto conservatore. Diciamo che non sono una sua fan.
Parlando d’altro, avresti delle novità musicali di Toronto che ti sentiresti di raccomandarci?
Lido Pimienta, Ela Minus, Casey Mecija.
Sappiamo bene che hai origini italiane. Qual è il tuo miglior ricordo legato all’Italia?
Essendo mezza italiana ho diversi ricordi legati all’Italia. Il più bello e intenso risale a uno show in un vigneto vicino al mare. Ci avevano dato così tanta roba da mangiare che il concerto fu un mezzo disastro.