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I sequel, si sa, sono quasi sempre opere minori. Soprattutto quando il primo capitolo ha segnato l’immaginario di più di una generazione, sia al cinema che nella letteratura.
Così, anche T2, secondo capitolo di Trainspotting, nelle sale italiane dallo scorso 23 febbraio, conferma questa tendenza. Il film, ancora diretto da Danny Boyle, non regge il confronto con la pellicola del 1996.
Non lo regge per la trama, non per i costumi, non per la colonna sonora, anche se quest’ultima, in T2 è certamente ben compilata e capace di accompagnare a dovere il racconto di luoghi, atmosfere e spaccati di vita legati alle vicende dei quattro protagonisti, Mark Renton, Spud, Sick Boy e “Franco” Begbie.
C’è ancora “Lust for Life” di Iggy Pop, questa volta nel remix dei Prodigy; ci sono i Blondie ed i Run-Dmc, ci sono i Clash. Gli Underworld, con lo sfondo alla lettera di Spud a Gail e con “Slow Slippy”, una Born Slippy da seconda o terza età.
Non mancano nemmeno le puntate mainstream, capitalizzate al massimo e ben inserite nel film, come “Relax” dei Frankie Goes to Hollywood e “Radio Ga Ga” dei Queen, utili anch’esse a fissare bene entro i confini britannici la cornice musicale del racconto.
A completare l’abito su misura, il rap made in Scotland degli Young Fathers e il crossover di High Contrast; l’hip hop sbandato degli irlandesi Rubberbandits e il post-punk dei Fat White Family.
Su tutto, “Silk”, pezzo della band alternative-rock londinese Wolf Alice, che traina il trailer del film e che esplode nel momento topico di T2, liberando il pàthos, in qualcuno, fino al pianto.
Il film
La trama di T2, sebbene ispirata a quella di “Porno”, romanzo sequel di Trainspotting pubblicato da Irvine Welsh nel 2002, con il testo ha poco o niente a che fare. Di “Porno” rimane l’idea di fondo: Mark Renton, dopo aver fregato Sick Boy e Begbie (ma non Spud), si è fatto una vita ad Amsterdam e adesso torna a Edimburgo. Ma in “Porno” tutto si svolge dieci anni dopo e non venti come in T2. Così, quello che accade nel film è qualcosa di completamente nuovo e funzionale alle due ore di proiezione, nelle quali il regista Danny Boyle e lo sceneggiatore John Hodge inseriscono qua e là idee, quando non intere scene, tratte da altri romanzi di Welsh.
Assente, completamente o quasi, uno sguardo critico e di analisi sulla società che non sia di semplice superficie (tipico, invece, dei romanzi di Welsh), T2 soffre dell’adattamento forzato all’era dei social network, di cui non c’era peraltro bisogno in “Porno”, poiché ambientato all’inizio degli anni 2000.
C’è, e quello rimane come tema tra i più interessanti della storia, un racconto di cos’è o cosa può essere l’amicizia: un casino, fatto di rapporti controversi e contraddittori, in cui ai sentimenti alti e alle sensazioni sublimi, si mescolano gli istinti più bassi e meschini dell’essere umano; abbracci e pugnalate; slanci sinceri e finzioni, funzionali alla realizzazione di progetti, a volte, tra i più riprovevoli.
Poi, c’è la nostalgia: da questo punto di vista l’operazione (di marketing) è riuscita. Tutto nel film ruota intorno al ricordo di venti o trenta anni prima. I richiami, anche musicali, al passato e al Trainspotting del 1996, spuntano da dietro ogni angolo.
Infine, come era inevitabile, la trama della pellicola forza affinché il cerchio si chiuda.
E il cerchio alla fine, forse, si chiude davvero.
Così, delusione o meno, T2 resta un film da vedere e, come il Trainspotting del 1996, da ascoltare.
Altre conclusioni e opinioni restano aperte e, ovviamente, lecite. Non sul doppiaggio in italiano di Veronika, che, francamente, è un pugno in un occhio.
(Tommaso Artioli)