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Si poteva pensare che il destino più beffardo che potesse capitare ai Temples fosse di finire come i Kasabian. In quel limbo de “il primo album era una bomba poi ‘nsomma…”. Una partenza con gli attributi per poi scivolare nelle piazze del riconoscimento facile e della noia sonora.
E invece i Temples hanno fatto davvero di peggio: praticamente si sono trasformati in dei Jethro Tull elettronici, in caricature clownesche dei Tame Impala, in un tremendo misto di psichedelia barocca che in alcuni momenti fa letteralmente barcollare dall’incredulità.
“E’ impossibile”, ci si ripete ossessivamente come un mantra tra sé e sé, se solo si pensa a quella meraviglia di debut-album (“Sun Structures”, 2014), e non stiamo qui a ripeterci troppo sul fatto che lo abbiamo gridato proprio tra i primissimi. Ma già in quell’articolo si citavano proprio i “migliori Kasabian” forse inconsciamente consapevoli che quella poteva essere la strada.
Si sono montati la testa, suvvia. E’ l’unica spiegazione. In tantissimi passaggi “Volcano” soffre della sindrome del “giocattolino”: i Temples sembrano lasciati a loro stessi in sala d’incisione con tante tastierine e sequencer, e finiscono per giocarci, non per suonarli.
Come non definire altrimenti il moog di sottofondo della seconda strofa “Certainly”, fastidioso come una zanzara, oppure la cassa effettata con delay di “All Join In”? Ma quello non è il fondo. L’abisso è dato dagli incipit di “(I Want To Be Your) Mirror” e dal riff di “Mystery Of Pop” che paiono suonati da un Bach ubriaco, dai “fa fa fa fa fa fa” di “Roman Godlike Man” stile canzoncina di un film con Lino Banfi e – dulcis in fundo – dalla incresciosa “In My Pocket” che fa il verso a “Bike” di barrettiana memoria e riesce ad essere incisiva come un discorso di Civati.
In alcuni punti (solo pochissimi, a dire il vero) dispiace perché le trame melodiche non sono così male, e ci si riferisce a “How Would You Like To Go” e alla semplice (la semplicità è un valore) “Oh The Saviour”.
Ma sono solo momenti fugaci che lasciano subito il posto ad un sentimento di sgomento come quando si pensa alla carriera politica di Capezzone. Nasce come numero due di Pannella, e poi diventa portavoce di Berlusconi e da ultimo di Fitto (!). Ci siamo capiti, no?
25/100
(Paolo Bardelli)