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“I think you should know you’re his favourite worst nightmare”. Questo verso da il nome al secondo disco degli Arctic Monkeys, uscito esattamente dieci anni fa. Sapevano tutti, in quel periodo, che riuscire a fare meglio di un disco come “Whatever People Says That I Am, That’s What I’m not” non era l’impresa più semplice possibile.
Il 2007, in ogni caso, è stato un anno particolarmente fortunato per quanto riguarda le uscite musicali: quest’anno, oltre a “Favourite Worst Nightmare”, festeggiano il decennale dischi del calibro di “In Rainbows” dei Radiohead, “Sound of Silver” degli Lcd Soundsystem, “Graduation” di Kanye West e il debutto dei Justice, “Cross”.
Chi vi scrive è sicuramente di parte: “Favourite Worst Nightmare” l’ho consumato a tal punto che i file mp3 sul pc sono un po’ sbiaditi e Alex Turner canta con la voce più rauca del solito. A costo di risultare autoreferenziale, credo sia giusto spiegare perché proprio questo disco per me è il più importante degli AM.
Era il 2008 e il me quattordicenne non ascoltava musica o si limitava ad ascoltare quello che gli rimbalzava addosso dalla tv e dalla radio. Un giorno come tanti altri, preso dalla noia del liceo, sfoglio il diario di un amico, una Smemoranda qualsiasi o chi per lei. In questo diario in particolare, ogni settimana si poteva trovare un consiglio musicale e io ebbi la fortuna di beccare proprio “Brianstorm”, uno dei singoli del disco. Ascoltai quello, poi “Teddy Picker”, poi tutto l’album e recuperai il precedente. Da lì in poi all’infinito, quel disco è il motivo per cui adesso ascolto musica, suono uno strumento e molto altro.
Al contrario di altri dischi usciti nel 2007, come ad esempio il già citato “Sound of Silver”, forse “Favourite Worst Nightmare” è invecchiato un po’ di più: è un disco che fa comunque parte di quell’ondata brit/indie/garage che viene ormai tirata fuori solo in contesti di revival o serate a tema dedicate, un po’ come gli anni ’90 e ’80 nella vostra discoteca di fiducia. Ho riascoltato FWN proprio in occasione del decennale, dopo averlo riposto in un cassetto mentale per qualche anno. Rileggendo i testi, ascoltando i pattern di batteria, le linee di basso e i giri di chitarra si è subito attivato un effetto nostalgia non indifferente. Insieme a questo, però, anche la consapevolezza che questo disco merita il posto che ha oggi ed è giusto ricordarlo dopo dieci anni.
La differenza tra un disco valido e uno che non lo è, dopotutto, è questa: se dopo dieci anni e tutta una serie di nuove tendenze che si sono accavallate negli anni a cambiare completamente il panorama musicale, negli anni dell’ r’n’b, dell’hip-hop di Kendrick Lamar e dell’elettronica di Arca noi continuiamo comunque a ricordare, cantare e ballare questo disco; se ancora oggi, come dieci anni fa, urliamo insieme ad Alex Turner “But I crumble completely when you cry/it seems that once again you have to greet me with goodbye” in quella canzone strappalacrime che è 505, vorrà pur dire qualcosa.
(Matteo Bordone)