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Domenica scorsa, in una Carpi in dismissione post-raduno papale, Emmy The Great ha fatto la sua esibizione misurata e raccolta al Mattatoio. Si è presentata un po’ dimessa, con un maglione che neanche mia nonna, con la valigia buttata ai lati del palco e un ciuffo ribelle fuori dalle trecce (“Se mi fate delle foto me lo correggete con photoshop però, eh?”). Simpatica, Emma, una ragazza con un bel modo di porsi: gentile, educato e con il sorriso. Il suo è stato uno show molto minimale, pure troppo perché l’essere sola con la chitarrina è una necessità per il tour europeo e non una scelta (in Inghilterra si esibisce con la band).
Un live senza infamia e senza lode, insomma. I suoi punti di forza sono stati in ogni caso la sua voce duttile e le presentazioni delle canzoni, dei brevi racconti su come è nato il pezzo in questione che hanno interessato e hanno fatto venire voglia (almeno a me) di approfondire il testo. Nel complesso l’impressione è stata quella di trovarsi di fronte ad una Suzanne Vega in miniatura: senza la caratura artistica della newyorkese, ma con un approccio globale e cantautorale molto similare, anche di sensibilità.
Questo paragone che mi è balenato nel cervello si è rivelato non casuale nel momento in cui, terminato il live e acceso l’immancabile social da cellulare, ho visto una notizia sui 30 anni di “Solitude Standing”. In effetti è uscito il 1 aprile 1987. Un album meraviglioso: il consiglio è di riascoltarlo tutto oggi, in questo momento, appena avete finito di leggere questo articoletto. Ma se non avete tempo e volete concentrarvi su un brano, facciamo così, lo individuiamo: “Tom’s Diner” meriterebbe un intero #tbt per cui non dico nulla per non bruciarmi l’argomento, “Luka” la conoscono anche i sassi… vada per “Gypsy”.
Suzanne racconta la storia di quel brano – scritto molti anni prima, nel 1978 – ad ogni suo concerto, oramai è risaputa ma è bellissima per cui val la pena riportarla, magari non l’avete mai sentita: Suzanne, quando era adolescente, fece un campo estivo. Lì incontrò un ragazzo di Liverpool e se ne innamorò. Al termine dell’estate ritornarono nelle rispettive case, lei a NY e lui in Inghilterra, e lei dopo averlo visto l’ultima sera scrisse questa canzone dolcissima, in cui chiede di tenerla abbracciata “come un bimbo che non vuole dormire”. La canzone termina con una magnifica invocazione: “Molto presto voleremo via verso terre separate / Ti prego non cercarmi perché comunque sarai con me / e un giorno, ascoltando una canzone che fluttua nell’aria, capirai che ci sei tu in quella canzone”
And we’ll blow away forever soon
And go on to different lands
And please, do not ever look for me
But with me you will stay
And you will hear yourself in song
Blowing by one day.
Ecco, Emmy The Great è bravuccia, ma a questi livelli mica ci è arrivata.
(Paolo Bardelli)