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“I’m Stephin Merritt and This is my autobiography in 50 Songs, one for each year of my life. It’s mostly Love and Music, so Don’t dig for much of a Storyline. And if Things get mellower as 50 looms, That’s Life”.
Una nota manoscritta di introduzione al viaggio, tanto più esplicativa di qualsiasi recensione all’ultima, tanto mastodontica quanto geniale, fatica a nome The Magnetic Fields. Centocinquanta minuti di musica suddivisi in cinque dischi imprescindibili l’uno dall’altro, che riassumono oltre ai primi cinquant’anni di vita di Stephin Merritt, la sensibilità musicale e la lunga carriera di questo cantautore e polistrumentista figlio del mondo, orgogliosamente gay e vegano, l’uomo che sognava di essere Walt Disney, il topo da studio di registrazione intollerante, a causa della grave iperacusia, allo stress delle tournée. E non ultimo, figlio d’arte del folk singer Scott Fagan ricomparso nella sua vita solo quattro anni fa.
In un’opera che, a differenza del capolavoro del 1999, è del tutto personale, citazionista e non-fiction, il rischio di smarrirsi è elevato. Come per gran parte della discografia dei Magnetic Fields non si riesce a definire un genere di prevalenza: l’ascolto offre momenti di folk lo-fi stralunato (“78 The Blizzard of ’78”); psichedelia à la Dukes of Stratosphear (“87 At The Pyramid”); “gothic” bubblegum pop (“89 The 1989 Musical Marching Zoo”); musica da camera che canterebbe Scott Walker (“00 Ghosts of The Marathon Dancers”). Tanti infine gli esemplari di un synth-pop memore degli Human League all’ombra dei Kraftwerk (“97 EuroDisco Trio”). Questo volendo categorizzare al massimo, poichè i cinque dischi pescano in tradizioni musicali molto differenti come testimonia l’infinita gamma di strumenti utilizzati da Merritt, sull’ordine del centinaio: electric tabla, kazoo, thunder shit, djembe, charango…ultima voce nella lista: abacus.
Siamo curiosi di sapere quanti di questi saranno sul palco, quando il gruppo porterà negli Stati Uniti e in Europa l’intero canzoniere del disco di “50 Song Memoir” a partire da metà Aprile.
Sofisticata ricerca musicale fanno del Nostro un moderno Brian Wilson (“08 Surfin”, curioso il parallelo con “California Girls” realizzata nello stesso 2008 su “Distortion”); di contro le melodie delle canzoni sono semplici e sovente di struttura chorus-bridge di chiara derivazione anni sessanta e beat, ad esempio “67 Come Back As A Cockroach” o “11 Stupid Tears” : Ray Davies, John Lennon e Syd Barrett gli autori più rimarchevoli del modello. Anche le virate sulla world music non mancano, nel reggae-dub di “94 Haven’t Got A Penny” o nella corale e frizzante “12 You Can Never Go Back To New York”; da rimarcare infine l’epicità d’altri tempi che assumono le barocche “69 Judy Garland” e “14 I Wish I Had A Picture”. Dalla quale esce anche il tipico contraddittorio di Merritt: “I’m just a singer; it’s only a song the things I remember are probably wrong I wish I had pictures of every old day cause all these old memories are fading away“. I testi meriterebbero un articolo a parte, dalla storia del gatto Dionisyus (“He hated me cause I loved him”), al rapporto conflittuale con l’istruzione (“I had to retake Ethics from my Mennonite professor, for whom my skepticism didn’t fly”) fino al tema degli anticoncezionali (“We expected nuclear war what should we take precautions for?”); il consiglio è di esplorare i cinquanta brani con l’ausilio del booklet, forte di tutte le liriche e di una stravagante conversazione dentro alle storie tra Merritt e Daniel Handler, musicista in “50 Song Memoir” ma anche ideatore della serie “Lemony Snicket”.
Storie d’Amore e Musica si diceva, ma anche di una madre eccentrica (“79 Rock N Roll will ruin your life”), di un padre amato-odiato ricorrente in tanti brani, di problemi fisici e doppia personalità, di soldi e fama, delle città di Berlino, Londra e New York (il 9/11 di “01 Have You Seen It In The Snow”), di presunti miti di gioventù come John Foxx, Huckleberry Finn, The Shirelles, Richard Gere, Grace Slick, i Neu!…Coinvolti nel progetto gli storici John Woo alla chitarra, Sam Davol al violoncello, l’arrangiatore Christopher Ewen e la vocalist e manager di Merritt Claudia Gonson, oltre al sopraccitato Handler e Thomas Bartlett (Sufjan Stevens, The National, Father John Misty) anche in sede di produzione. Un’opera che vi farà ridere, piangere, perdere la pazienza, pensare, viaggiare e ballare come un musical di Broadway: così “50 Song Memoir” si affianca a “69 Love Songs” e “The Charm Of The Highway Strip” nella produzione essenziale dei Magnetic Fields.
90/100
Matteo Maioli