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Nurse With Wound è un progetto musicale nato in Inghilterra sul finire degli anni ‘70. Alle spalle una produzione discografica enciclopedica, che esplora in lungo e in largo il mondo sonoro e figurativo della musica d´avanguardia, dall´industrial al noise, dall´estetica dadaista alle sperimentazioni fluxus. A tutti gli effetti, un´anti-musica contaminata fino al midollo da artisti geniali e personaggi misteriosi racchiusi in un´infinita lista – vero oggetto di culto per i fan – che accompagnava l´album d´esordio “Chance Meeting on a Dissecting Table of a Sewing Machine and an Umbrella” (1979). L’ultimo concerto a Berlino risale esattamente a dieci anni fa. Un’eternità per una band allergica alla stagnazione e restia agli incasellamenti di genere. Ogni concerto dei Nurse With Wound è un´esperienza unica e non replicabile. In quest´occasione, il carismatico fondatore Steven Stepleton è affiancato da musicisti di rilievo della scena sperimentale inglese, come Colin Potter, James Hill e Andrew Liles. La lunga fila di pellegrini urbani, non certo abbonati ad ambienti ecclesiastici, freme di fronte all´ingresso di una delle chiese barocche più rinomate della città. La Sophienkirche è il teatro paradossalmente ideale per questo evento in cui l’apparente antinomia tra sacro e profano si dissolve sotto i colpi di un capitale artistico tangibile.
Come vapore che lentamente si dipana fuoriuscendo dalle crepe dell´inferno, un primo periodo sonoro, lugubre e atonale, accarezza l´ambiente. Disinfetta le orecchie dal mondo. Sintonizza le sinapsi sulla successione lenta e perversa di diapositive lobotomizzanti dalle quali lo spettatore non riesce a distogliere lo sguardo. All´iniziale assenza di accenti subentrano, con intensità crescente, figure ritmiche circolari, decadenti e dinamicamente aride. Una tensione che disorienta attraverso convulsioni temporali dilatate all´inverosimile, rinvigorite da linee di chitarra ascendenti e squisitamente lineari. La miscela di sintetizzatori, trombette giocattolo, raganelle, armonie crude e il respiro di bestie ultraterrene esprime al meglio l’incidere lento e claudicante della miseria umana. In questo brodo sonoro le parole, gridate, sussurrate, recitate, dilaniate, si frammentano e affogano, fino a diventare rumore nei rumori. La sequenza visiva pare studiata apposta per distogliere lo spettatore, incassato tra i banchi di legno, da un’alienazione totale. O, meglio, per indirizzare l’alienazione nella direzione desiderata. Un’alienazione assistita e apparentemente morbida. Un complesso collage sensoriale che narra di un universo interiore acido e schizofrenico, e di una realtà post-distopica annichilita. Il viaggio nei tortuosi meandri della psiche è stimolato ulteriormente da luci monocrome e fumi densi che invadono l´abside dal basso verso l’infinito, scardinando passaggi verso dimensioni remote. In tutto, un’ora e quindici minuti d’immersione sonora intensa e di altissimo livello, ricca di momenti estremi che a tratti accarezzano il limite fisico della sopportazione uditiva. Una terapia catartica per lo spettatore, indotto a comprimere la propria anima e a rimodellare i dubbi interiori. Finita la cerimonia il pubblico, stordito da sordide emozioni, riprende fiato in rigoroso silenzio, per poi disperdersi nell’oscurità.
(Michele Scaccaglia)