Share This Article
Cos’è che distingue un concerto di buon livello da uno discreto?
Di cosa ha bisogno un’esibizione per discostarsi dalla media ed entrare in quella ristretta cerchia che rimane impressa nella memoria?
Forse le sensazioni che seguono l’atteso (per chi scrive quasi un eufemismo) e gremito show della talentuosa Angel Olsen alla Salumeria della Musica di Milano possono aiutare a restringere il campo di questa risposta.
La magnetica cantautrice canadese ha tutto quello che serve per lasciare il segno: una voce incredibile, un talento non comune nella scrittura, una presenza scenica da interprete navigata.
Per questi e altri motivi sono in molti a identificarla come una delle migliori rappresentanti di un genere, quello della ballata folk chitarra e voce, da molti ormai giudicato anacronistico, prima ancora che derivativo.
I suoi due ultimi album “Burn Your Fire For No Witness” e “My Woman” sono stati ugualmente acclamati da pubblico e critica, la stessa redazione di Kalporz ha mostrato un apprezzamento quasi unanime per la cantante del Missouri.
Eppure, la seconda data italiana di Angel Olsen non ha convinto del tutto.
Sarà stato il torrido caldo milanese che ha trasformato La Salumeria della Musica in una specie di sauna.
Sarà stata una band di supporto apparsa alquanto sotto tono, nonostante una ricca (e forse eccessiva) strumentazione.
Sarà stato che la stessa Angel ha stentato un po’ a trovare il giusto feeling con il pubblico, per via anche di tentativi di dialogo poco convinti e poco riusciti (I don’t know anything about Milano, is it famous for the cookies? [?!]).
O forse, semplicemente, questa non era la sua serata più ispirata.
Fatto sta che si è avvertita la mancanza di quel quid di cui si parlava a inizio recensione; quella verve, passione, energia che non si deve tradurre per forza in stage diving o chitarre frantumate, ma che sia però capace di regalare un brivido agli spettatori.
Sia chiaro, l’esecuzione dei brani è stata impeccabile, la voce potente e cristallina, e la scaletta ha pescato dal meglio del repertorio dell’artista.
Ma un vago sapore di amaro in bocca rimane lo stesso.
Chissà, forse erano le aspettative a essere troppo alte, ma da Angel ci si aspettava qualcosina in più.
(Stefano Solaro)