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L’appuntamento mensile (di luglio) con un contenuto di Mangiatori di Cervello, per approfondire qualcosa di “altro” rispetto ai “soliti” contenuti kalporziani con lo stile e la visuale inconfondibile di MdC.
I social network hanno cambiato per sempre la storia dell’uomo e le neuroscienze mostrano come essi stiano cambiando anche le nostre funzioni mentali. Assistiamo spesso ad incessanti ed inconcludenti dibattiti: chi li critica, chi li elogia, chi ne incoraggia la diffusione, chi li demonizza. In questo articolo proverò a concentrarmi su un’importante funzione mentale, la mentalizzazione, e proverò a spiegare come i social network stiano aprendo prospettive fino ad ora inesplorate.
“Mentalizzare” significa dare una qualità mentale ad un comportamento e ad un’azione (Allen, Fonagy, Bateman, 2012). Tra le tante funzioni della mentalizzazione c’è la capacità di ricostruire i pensieri e gli affetti che sottendono e motivano un nostro comportamento: per esempio, il passaggio di un adolescente per atti di autolesionismo compiuti per esplicitare un disagio e la verbalizzazione, la capacità di pensare a questo disagio, la capacità di esprimerlo attraverso le parole e non più attraverso agiti autolesionistici, costituisce un efficace intervento di mentalizzazione. Spesso facciamo ma non sappiamo:la mentalizzazione dovrebbe renderci capaci di collegare un sapere emotivo a quel fare. Inoltre, come già sottolineato da Wilfred Bion, la mentalizzazione offre la capacità all’individuo di “pensare pensieri impensabili”: l’elaborazione di un lutto, un rifiuto, un trauma o sentimenti di aggressività cieca passano attraverso la capacità di mentalizzare. Questa funzione è necessaria ad una buona salute mentale.
Ma veniamo a noi. Chris Moss, sul Guardian Weekend, sottolinea come i social network abbiano offerto prospettive prima inesplorate attraverso la condivisione di contenuti legati strettamente al proprio vissuto emotivo. Sempre più spesso gli avvenimenti dolorosi, come ad esempio un lutto, vengono vissuti anche attraverso il social, attraverso la condivisione con un pubblico di sconosciuti su una piattaforma inanimata. Che effetto ha questo fenomeno sulla mentalizzazione del lutto?
Moss ritiene che la condivisione possa sostituirsi all’introspezione: l’individuo sostituisce le relazioni strette e l’introspezione stessa con un “groviglio di semplici e frivole interazioni, esponendo i nostri contenuti più intimi insieme all’elenco della spesa”. Il fenomeno della condivisione impulsiva è spesso un agito, un “mettere in scena” sentimenti di ansia e precarietà derivanti dal lutto, per ricercare nell’altro un aiuto oppure un vero e proprio avvio della nostra funzione di mentalizzazione. Il problema è che l’altro è un altro sopra ad uno schermo, un altro casuale, che casualmente legge un nostro stato e rischia di banalizzare inconsapevolmente la funzione di mentalizzazione soltanto attraverso unlike o un commento più o meno struggente. L’assenza di pensiero, quindi di mentalizzazione, rischia di rimanere se non riusciamo ad agire in altri modi, soprattutto perché non c’è un sapere dietro alfare (condividere).
Vi è tuttavia un altro aspetto da tenere in considerazione. La capacità di mentalizzare nasce e si sviluppa come funzione interpersonale, è appresa durante l’infanzia e mantenuta attraverso i rapporti interpersonali stretti. Può essere che l’utilizzo di un social network possa essere un valido aiuto per incrementare la capacità di un soggetto di mentalizzare una situazione difficile. Una psicoanalista che mi ha insegnato tanto mi ha raccontato di come, nel trattamento di un individuo con fobia sociale gravissima, la condivisione di foto e stati su Facebook siano stati passi importanti e di come il social network sia stato un mezzo per iniziare ad esporsi gradualmente a situazioni sociali, dopo aver individuato i nuclei conflittuali che sostenevano i sintomi. Il social può quindi essere un piccolo passo, una silenziosa richiesta verso il supporto interpersonale alla mentalizzazione.
Le posizioni radicali e svincolate dalla situazione specifica non ci portano lontano. Il social può essere un ostacolo, così come un aiuto: dipende come lo utilizziamo. Senza dubbio esso non può sostituirsi alla propria capacità di mentalizzazione, così come non può sostituire il supporto a questa funzione dato dalla presenza dell’altro, con cui abbiamo una relazione stretta. Tuttavia può essere un primo passo, all’interno di una situazione difficile, per richiedere la presenza dell’altro: tutto dipende da come i nostri “amici” social risponderanno e interpreteranno la nostra richiesta.
BIBLIOGRAFIA:
Allen, G., Fonagy, P., Bateman, A. (2012) La mentalizzazione nella pratica clinica. Milano: Raffaello cortina editore.
a cura di www.mangiatoridicervello.com
Mangiatori di Cervello è una via di mezzo tra un collettivo delle conoscenze ed un magazine dove si condividono attualità, approfondimenti culturali, opinioni.
Le ragioni della collaborazione tra Kalporz e MdC puoi leggerle qui.