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Beccare due giorni di sole consecutivi in questo periodo a Göteborg è qualcosa di molto vicino a un miracolo. Il tempo di rimettere apposto i pezzi dalla lunghissima giornata inaugurale (i più instancabili avevano già iniziato il giorno prima con il pre-party ufficiale nella suggestiva location urbana sul mare del museo Röda Sten Konsthall) che bisogna già dirigersi verso il parco di Slottsskogen dove uno degli artisti locali più famosi apre la giornata sotto al tendone Linné. Jens Lekman, sempre avvistato nel pubblico nel corso delle ultime edizioni, è visibilmente emozionato, forse non aspettandosi una platea così numerosa e carica quando non sono nemmeno le 13. La setlist è da grandi classici, a partire da una struggente rivisitazione acustica di “And I Remember Every Kiss”, brano d’apertura di quel disco di dieci anni fa, “Night Falls Over Kortedala”, dedicato al suo quartiere, Kortedala, che per qualcuno, come ammette con ironia, è diventato meta di pellegrinaggio come succede a Londra per Abbey Road. Difficile negare la portata emotiva di quell’album che arriva nel momento di massimo splendore dell’ultima golden age del pop indipendente svedese. Dallo stesso disco “Sipping On The Sweet Nectar” e “The Opposite of Hallelujah” sono cantate a squarciagola da grandi e piccini come se fosse un rito collettivo di risveglio. E poi ancora “You Are The Light”, “A Postcard To Nina”. Tutto molto commovente, a suo modo.
Un altro eroe nazionale che, cantando in svedese, è rimasto un fenomeno prettamente svedese, fa radunare una discreta folla, subito dopo, in uno dei main stage. Jonathan Johansson, artista di Malmö, della stessa generazione di Jens Lekman, sembra messo apposta per far accorrere un fiume di seguaci di ogni età prima del tempo. Nel frattempo, a un orario poco consono rispetto a quelli a cui siamo abituati dalle nostre parti, nel palco Dungen riservato alla programmazione elettronica in collaborazione con Red Bull Music Academy, tocca addirittura a Jon Hopkins. Il producer di culto della scena elettronica britannica regala un dj set molto house, da buone vibrazioni pomeridiani, con qualche breve intermezzo sperimentale e vagamente ambientale di quelli che piacciono a lui. Dopo di lui, ancora più intraprendente con le sue sonorità fredde e ossessive, non senza squarci più esotici, la giovane producer di Monaco di Baviera, e adottata da Berlino, Mobilegirl. Nonostante l’orario e l’evidente assenza di droghe, sembrano tutti molto carichi e pronti ad affrontare un’altra dodici di ore di sonorità di ogni genere. Come ad esempio, Sabina Ddumba che da noi è pressoché sconosciuta, ma qui a giudicare dalla folla, è un altro fenomeno nazionale molto apprezzato e seguito. Classe 1994, anche se non si direbbe da come tiene il palco, la giovane vocalist soul di Stoccolma e di origini ugandesi, ha già collaborato con Katy Perry e a tratti lascia davvero a bocca aperta. È esplosa con X Factor svedese e il paragone con gli omologhi artisti delle nostri parti, diventati noti grazie ai talent, è davvero impietoso. Come sempre, prendete nota.
Come il più noto a tutti, Perfume Genius, che a qualche centinaio di metri di distanza, sfoggia tutta la sua classe in un saggio di pop contemporaneo, fresco, ambizioso, teatrale, che mette in luce ancora una
volta il suo talento e il valore del nuovo album, uscito qualche mese fa, “No Shape”.
Anche oggi, non mancano le sovrapposizioni. Si rinuncia a malincuore a buona parte dello show di Mac DeMarco, che nei festival, riesce a dare sempre il meglio di sé, per gustarsi uno dei set più attesi del weekend. Vince Staples, già passato dal WOW in uno degli aftershow dello Stay Out West qualche anno prima, nel frattempo è diventato uno dei rapper più celebrati del mondo. Il suo nuovo album, molto vario ed immediato nelle produzioni, “Big Fish Theory”, è già segnalato da più parti come uno dei dischi dell’anno. Lui sul palco ricorda un po’ il Kanye dei tempi migliori, con un muro di led come fondale che lo trasforma in una sagoma oscura e uno sguardo un po’ alienato e disadattato ad accompagnare il suo flow inarrestabile. Come sempre, la risposta del pubblico, supera l’entusiasmo e in tanti, giovanissimi, riescono a seguirlo, cantando a memoria la maggior parte dei brani, vecchi e nuovi, senza distinzioni. Devastante.
Sotto il sole del palco Azalea, intanto, il suddetto Mac DeMarco con la sua band di freak, ingurgita smodate quantità di alcol, fumando, come sempre, una sigaretta dietro l’altra, con un finale di set, tuttavia, molto blando e rarefatto, chiuso, con classe con “Chamber Of Reflection” e il consueto, interminabile, stage diving finale. Averlo visto crescere dai palchi minori dei festival ai main stage, in pochi anni (l’ultima volta aveva suonato nel 2014 dentro lo storico parco dei divertimenti Liseberg in un memorabile after con The Growlers e Royal Blood), non può che fare piacere.
Subito dopo c’è un altro clash che esemplifica bene l’eterogeneità di questo day 2. Sotto al tendone ci sono i carichissimi Thee Oh Sees (e chi li ammazza), uno dei pochissimi nomi “rock” del cartellone di quest’anno, mentre a invadere ogni spazio dell’area dei due main stage, un fiume di persone in attesa di MØ. Anche lei, qualche anno fa, si era messa in mostra nel palco più piccolo dei tre. Quest’anno, dopo l’esponenziale crescita degli ultimi tempi, non può che essere accolta dal palco Flamingo. Il talento e il carisma dell’artista danese è ormai conclamato. Stupisce nel seguire la scaletta, la quantità di singoli e di hit, tra suoi brani e collaborazioni, che ne hanno segnato la carriera. T-shirt dei Joy Division, capello corto, presenza sul palco magnetica, arrangiamenti moderni e potenti e una voce bella e scandinava che non può che tenerti fisso fino alla fine dello show (che si chiude con “Final Song” e il classicone di Major Lazer datato 2015, “Lean On”, che persino dalle nostre parti conoscono persino i muri).
Prima del tramonto, si apre una parentesi più adulta con Fatoumata Diahara e Hindi Zahra in un live esclusivo al Linné, Ryan Adams al Flamingo e soprattutto una scazzatissima quanto sofisticata Feist, tornata sotto i riflettori con l’attesissimo quinto album “Pleasure”, arrivato sei anni dopo “Metals”. Un po’ si rende conto della presenza di tanti giovanissimi alle prime armi e poco dentro la storia della musa dei Broken Social Scene. Prova a fare qualche battuta, vieta le foto e con il suo vestito giallo illumina il crepuscolo come solo lei può fare. Molti dei presenti attendono già un altro dei nomi giovani più attesi, the xx, mentre i vecchi volponi si spostano a vedere The Afghan Whigs sotto il tendone. Grazie agli impianti audio che da queste parti lasciano veramente a bocca aperta per il volume sostenuto e la qualità delle frequenze, finalmente il trio britannico sembra in grado di affrontare un palco adeguato al loro seguito ormai planetario. Sempre meno timidi, guidati dalle trame sintetiche molto piacione di Jamie, Romy e Oliver continuano a fare tenerezza, ma con questo “I See You” sono a tutti gli effetti uno dei nomi di riferimento della scena pop inglese contemporanea. Il loro set è avvolgente, a tratti ballabile, sempre ipnotico e atmosferico.
Una pausa perfetta prima della mattanza Major Lazer che si aprirà di fronte a loro.
Diplo, DJs Jillionaire e Walshy Fire mettono insieme un ubriacante circo fatto di balletti reggaeton, basse perforanti, isteriche esplosioni di dance hall, techno e tarantolati momenti electro/dubstep da pista. La giovanissima platea torna a creare dei mosh pericolosissimi, anche le più piccole e giovani non si tirano mai indietro. Per uno show ai confini del tamarro, ma a livello di produzione perfetto e impeccabile. Con due headliner molto introspettivi come Frank Ocean e Lana Del Rey, in fondo, si va a un festival anche per divertirsi. Chi non è pronto, o forse troppo stanco, per la schizzata performance di Diplo e soci, ha comunque un’alternativa di assoluto prestigio, Sampha, con il suo soul 3.0, reso famoso dal successo del suo primo LP, “Process”, pubblicato a inizio anno.
Orologio alla mano, si esce dal parco durante la fine del circo per cercare di vedere Kelly Lee Owens, producer gallese tra le novità più celebrate di questa prima metà di 2017, che per pochissimi intimi regala una performance molto cerebrale in uno dei tre stage del molo Bananpiran. Da rivedere in una situazione meno desolante, il suo set comunque convince. Sempre in quegli spazi, mentre la gente si mette in coda, in attesa del djset schiacciasassi dell’instancabile Diplo che arriva dopo i lustrini del duo ultra-pop svedese Rebecca & Fiona, si alternano una delle tantissime promesse pop nazionale che abbiamo seguito con interesse, Janice, e l’omologa norvegese Sigrid, di cui sentiremo molto parlare. Tra i nomi d’oltreoceano, 070 Shake, la nuova icona femminile della scena queer rap dell’East Coast stupisce per il suo seguito, entusiasta e preparatissima, nonostante si sia fatta conoscere bene nell’ultimo anno. Originaria del New Jersey, ha un timbro davvero particolare e soul, che alterna a scatenati flow, ruvidi e incazzati come le tematiche anti-omofobia dei suoi testi. Gli svedesi vogliono sempre un po’ di rap per risvegliarsi e tutti i djset che riempiono i buchi tra i cambio palco sono un continuo mix dei classici trap e hip hop degli ultimi mesi. E anche la chiusura di questa giornata molto variegata, è all’insegna della black music con la promettente Ikhana, anche lei di Göteborg e accolta da un vero e proprio delirio.
Foto di Chiara Viola Donati (Instagram: @chiaraviolenta)