Share This Article
Una dedica d’intenti, quella di Ariel Pink. Come a dire “io sto da questa parte della barricata, sto con i reietti, sto con chi non è stato mai capito“. Eppure oggi, tutti capiscono e idolatrano il quasi quarantenne Ariel Marcus Rosenberg e ne comprendono, magari non appieno, il suo oscillatorio gusto per il kitsch, per il pop dimenticato dal tempo, fuori tempo e fuori dal tempo.
Una dedica ad un personaggio controverso come Bobby Jameson, che nella città degli angeli nei favolosi anni 70 subì la classica escalation al contrario, ritrovandosi da quel lato sbagliato della strada decantata da Lou Reed.
Solo chi ha visto dal vivo il buon Ariel, riesce a capire quanto sia vero il senso d’appartenenza ad un era, ad una città, ad un preciso periodo storico; non si tratta di revival scimmiottesco, non si tratta di riesumare i cadaveri, non si tratta nemmeno di un’apparente nostalgia retromaniaca (non volevo dirlo, ma l’ho fatto); qui si mette in scena l’immaginario di un presente che si vorrebbe vivere.
Ariel è un giovane talento ancorato in un non-luogo musicale e fa dischi per dimostrare al mondo che puoi essere dove vuoi essere. C’è chi si lancia alla ricerca del futuro perché ha paura del presente, c’è chi si attacca al passato perché vede il futuro come un mostro che sradica i suoi ricordi e c’è chi, come Ariel Pink, semplicemente sceglie di vivere in un luogo perché è a lui più congeniale.
Com’è quindi, questo nuovo disco? Io dopo il compendio che mi aveva regalato lo splendido “Pom Pom” del 2014 non avrei scommesso un centesimo su un nuovo azzeccato passo del Losangelino. Pensavo: tutto è stato fatto, quasi tutto è stato detto e (ri)detto.
Invece ecco la psichedelia aggrazziata, liquida, romantica e ovviamente demodè. Ecco le strade di Los Angels di nuovo brulicanti di quel funky che non ricordavamo di aver ascoltato. Ecco il Bubblegum Dreams che a ripulirlo ci si farebbero delle carriere. Ecco la dedica che spalanca (di nuovo) le porte della percezione. Ecco che un altro weekend della mia vita se ne va.
In che anno siamo? Ha davvero poca importanza.
75/100
(Nicola Guerra)