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A Torino non si scherza un cazzo.
Lo diceva qualche anno fa Guido Catalano, il poeta-rockstar di Torino, per l’appunto.
E noi di Kalporz non possiamo che dargli ragione.
Nel panorama culturale e artistico italiano il capoluogo piemontese possiede una sua esclusiva e brillante identità. In tutto questo la musica riveste da anni un ruolo di primissimo piano, prima grazie al Club2Club, poi al Traffic (rip), per arrivare infine al TOdays Festival, giunto quest’anno alla sua terza edizione.
E proprio come la città che la ospita, la giovane rassegna ha indossato fin dal principio una veste ambiziosa, portando a Torino in sole due edizioni nomi come Interpol, TV on the Radio, M83, Goat, Soulwax e The Jesus & Mary Chain, per citarne solo alcuni.
Noi di Kalporz eravamo presenti anche quest’anno per seguire le serate di venerdì e domenica, e la grande attesa per alcuni dei beniamini della nostra redazione è stata ampiamente ripagata.
Venerdì, dopo la ricerca di un biglietto giornaliero che termina con un misero fallimento, arriviamo giusto in tempo per vedere l’ultima parte del live di Alice Bisi, in arte Birthh. La promettente musicista toscana mostra un piglio e una confidenza con il palco non indifferenti, considerata la giovanissima età (20anni). La sua proposta musicale pesca a pieni mani da alcuni nomi di grido dell’indie anglosassoni (Bon Iver e Daughter su tutti), ma ciò non rappresenta necessariamente un punto a suo sfavore, anzi. Di artisti nostrani dal respiro potenzialmente internazionale ne abbiamo bisogno come il pane.
Anche il cantautore napoletano Giovanni Truppi è una bellissima sorpresa (almeno per chi scrive). Il suo one man show è sorretto da una voce fuori dal comune, accompagnata solo da un pianoforte e dal battito di mani, a dettare il ritmo singhiozzante delle sue melodie.
I testi, spesso veri e propri flussi di coscienza, sono ammantati da un divertito disincanto, ma sono anche capaci di graffiare. Musica e parole lontane anni luce da un certo indie posticcio e autoreferenziale che va di moda adesso nel nostro Paese.
Tra una birra e l’altra e la fila interminabile davanti al baracchino degli hamburger gourmet, ormai immancabile, attendiamo frementi la regina della serata. L’unica data italiana di PJ Harvey è probabilmente il concerto clou di tutto il festival e la cantante britannica, come da copione, ipnotizza il pubblico dal primo momento in cui sale sul palco.
Piume nere sul corpo e sulla testa, a formare due diaboliche corna, gonna cortissima (come non ripensare ai versi “lick my legs I’m on fire”), compongono l’all black look scelto da Polly Jean per la messa in scena di uno spettacolo perfetto, nella forma e nella sostanza, grazie anche a una squadra di fantastici musicisti (tra cui non può mancare il fido John Parish). Tutti uomini, tutti in nero.
La scaletta ripercorre la storia dell’artista, con una forte presenza dei gloriosi dischi degli anni ’00 (ben 4 pezzi dal fondamentale “Let’s England Shake”), i dovuti estratti dal recente “The Hope Six Demolition Project”, e qualche tappa nel passato più remoto, grazie a perle come “50ft Queenie”, “To Bring You My Love” e l’apoteosi di “Down By The Water”. Nonostante l’esecuzione rigorosa, lo show di Pj Harvey trasuda pathos dal primo all’ultimo momento e alla fine l’unico rammarico è che la durata si limiti all’ora abbondante.
Dopo tanta epicità, quello che serviva era proprio un personaggio come Mac DeMarco per imprimere una svolta più “leggera” alla serata. Qui a Kalporz abbiamo tessuto più volte le lodi del cantautore canadese, capace di imporre un nuovo canone alla figura del menestrello slacker anni ’90.
La sua musica è puro divertimento, intrisa di romanticismo e sensibilità, mai prolissa e mai banale. L’animale da palco, poi, è esattamente come ce lo aspettavamo: chiacchierone, irriverente e cazzone quanto basta (e la sua band non è da meno).
La prima serata si conclude con la migrazione in massa del popolo del TOdays dallo Spazio211 verso l’Ex Fabbrica Incet, passando però prima per la suggestiva location del Parco Aurelio Peccei e la sua spettrale cattedrale (uno scheletro di quelle che un tempo furono le Capriate Porcheddu), per dare un’occhiata all’ultima parte delle allucinazioni musicali e visive di Byetone.
Domenica si torna nell’afosa Torino per il trio Timber Timbre – The Shins – Band Of Horses.
La band canadese sale sul palco con il sole che non è ancora tramontato, mentre gran parte dei presenti è ancora comodamente distesa sul prato. Il sito del Todays Festival usa più volte la parola “cinematica” per descrivere la musica dei Timber Timbre, un aggettivo che in effetti si addice alla perfezione al quartetto, che dal vivo non perde un briciolo del lirismo che trasuda su disco. Questo grazie soprattutto alla calda voce di un Taylor Kirk, ai caldi synth di Mathieu Charbonneau, senza tralasciare l’importante apporto del sax. Anche in questo caso dispiace un po’ la breve durata del concerto, ma ci si ripromette di assistere al più presto a un altro live della band.
La mezzora di pausa post Timber Timbre non può che essere contraddistinta dalla vera e propria agitazione per la prima data italiana di sempre (complimenti Todays!) dei The Shins. La creatura di James Mercer è da quasi vent’anni una delle colonne portanti dell’indie americano, e il loro pop-rock dal gusto dolceamaro ha accompagnato i pigri pomeriggi adolescenziali di molti di noi.
Il frontman, mente, cuore e braccia del progetto, sale sul palco allegro e sorridente, accompagnato da una band composta per lo più da nuovi elementi, ma comunque molto affiatata. Mercer parte subito con “Caring is Creepy” da “Oh, Inverted World”, per quello che è l’inizio di vero e proprio best of della discografia della band.
Nella scaletta ritroviamo molti dei pezzi storici che ogni fan si augura di sentire, come “Saint Simon”, “Kissing the Lipless”, senza scordare alcuni richiami all’ultimo disco, come “The Fear”, in cui tre membri della band prendono in mano i violini per un toccante intermezzo slow tempo. I picchi più alti vengono toccati con “Simple Song”, dal bellissimo “Port Of Morrow” e, ovviamente dai bis.
James Mercer introduce QUELLA canzone con “Well, this is our hit, I guess”, prima di una “New Slang” ascoltata in religioso silenzio dal pubblico. Il finale spetta a “Sleeping Lesson”, inframezzata da un minuto di cover di “American Girl” di Tom Petty. La band esce dal palco tra applausi a scena aperta, tanti sorrisi e quel diffuso buonumore che la musica dei The Shins da sempre è in grado di infondere.
A chiudere quest’edizione del TOdays ci pensano i Band Of Horses, orfani di Tyler Ramsey, ma ancora pieni di energia e capaci di regalare un’ora e un quarto di buon rock.
Anche se nel corso degli anni la band di Seattle ha perso un po’ di smalto, l’impatto dei loro live è sempre efficace: un sound roots che punta dritto alla pancia, con richiami a Neil Young, ai Lynyrd Skynyrd, e in generale a tutta la tradizione southern americana. Il pubblico mostra di conoscere e apprezzare la scaletta, che anche in questo caso pesca a piene mani dal meglio del repertorio della band.
Anche quest’anno il TOdays si è confermato come un festival di grande spessore qualitativo. E il panorama musicale italiano non può che essere grato agli organizzatori; sono eventi come questo che ci permetto di recuperare un po’ di quei chilometri di distanza che ancora ci separano dalla vasta offerta di festival di alcuni Paesi europei. Avanti così.
P.S. A quello che è accaduto nella serata di sabato, a cui non eravamo presenti, avremmo preferito non dover dedicare spazio, nemmeno nel post scriptum. Gli insulti omofobi di qualche povero imbecille all’artista che si stava esibendo sul palco (il grande Perfume Genius) non possono e non devono rovinare un evento come questo.
Il “Fuck You Bitch” di Mike basta e avanza per questi piccoli individui.
(Stefano Solaro)
4 Set 2017