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(Tutte le foto di Mario Carovani)
Elettroshock è una parola pesante. Oltre ad un forte impatto fonico, porta con sé uno strascico di riferimenti, sensazioni, immagini. Non certo di quelle tranquille o rassicuranti, ma spiazzanti o vagamente terrificanti.
Ed ‘Elettroshock’ è anche il titolo della performance che ha visto protagonisti Pierpaolo Capovilla e la Tempo Reale Electroacoustic Ensemble, il gruppo estemporaneo di musicisti attivi nel campo della musica elettroacustica guidato dal Direttore di Tempo Reale Francesco Giomi.
Ora per chi si chiedesse di cosa parli, Tempo Reale è un centro di ricerca, produzione e didattica musicale fondato a Firenze trenta anni fa da nientepopodimeno che Luciano Berio con lo scopo di creare una struttura capace di investigare le possibilità di interazione tra strumenti acustici e sistemi digitali. In soldoni, assistere ad una performance organizzata o eseguita da questi simpatici esploratori di frontiere del suono significa fare un punto della situazione di quello che è possibile fare con uno strumento musicale nel 2017.
Non c’è occasione migliore per verificare questo che frequentare con interesse il Tempo Reale Festival, rassegna di eventi legati al contemporaneo e alla sperimentazione arrivata al decimo anno di vita e che coinvolge gli spazi più diversi della città di Firenze. Per capirsi, solo la preview consisteva in un’esperienza sonora all’interno del Museo Novecento di Firenze, dove camminare per gli spazi del museo ascoltando con cuffie wi-fi tre playlist dedicate alla musica contemporanea italiana.
Il primo vero e proprio evento del Festival, invece, è proprio ‘Elettroshock’, al quale avevamo accennato prima. Il reading/concerto dedicato alla figura di Antonin Artaud, geniale poeta e drammaturgo francese di inizio secolo internato e morto in un manicomio, si svolge nel cortile del complesso di San Salvi, proprio un ex manicomio di Firenze.
“Molte volte vengo contattato per dei progetti, ma questa volta, anche per il fatto che la proposta veniva da Tempo Reale, ho capito subito che era una cosa molto seria” mi racconta un entusiasta Capovilla alla fine della performance. “Abbiamo fatto in totale tre prove, e sono state tre cose completamente diverse tra loro, ed anche da quella che abbiamo portato stasera“.
Infatti la particolarità del Tempo Reale Electroacoustic Ensemble è quello di mettere in scena degli happening completamente improvvisati, guidati dalla conduzione di Francesco Giomi, direttore del cento e docente presso il Conservatorio di Bologna in Musica Elettronica. “L’improvvisazione è come darsi insieme un obiettivo comune a noi sconosciuto, e naufragare mentre si è alla sua ricerca“.
TREE, per l’occasione, è composto da 5 persone, più il conductor: Michele Foresi (violino e live electronis), Andrea Gozzi (chitarre, live electronics), Salvatore Miele (basso, live electronics), Stefano Rapicavoli (percussioni) e Giorgio Spedicato (sintetizzatori). Ma come ci si prepara ad un concerto di così alto livello dovendo improvvisare per una cinquantina di minuti? “A parte imparare a memoria i simboli del conductor [Francesco Giomi ha ideato un sistema di segni per condurre l’improvvisazione: suono impulsivo, continuo, densità maggiore, minore, dinamiche, loop, etc. NdA] sostanzialmente non ci si prepara. Meglio, non ci si prepara per una specifica esibizione, la chiave è tenere allenata la mente a reagire in modo efficace ai simboli di conduzione e saper leggere il contesto musicale, saper dialogare. Un’improvvisazione così è frutto di una preparazione inconscia di educazione alla musica che dura molto più di una prova” risponde Spedicato, più conosciuto negli ambienti elettronici con il suo moniker Machweo.
“La libertà che abbiano noi musicisti è folle, è massima. Francesco Giomi costruisce dei binari entro i quali noi possiamo muoverci ma nel 100% dei casi anche il conductor non ha idea di quello che succederà a priori, mentre si suona può intuire la direzione in cui si sta muovendo l’improvvisazione, può sistemare delle cose e creare una struttura più o meno rigida ma non esiste un controllo totale“.
Quello che succede sul palco, per un esterno, non è così facilmente percepibile, seppur -incredibilmente- godibile: seguendo una struttura rock, come si può anche capire dalla strumentazione usata, strumentali e pezzi di reading si alternano e si uniscono con una lucidità impressionante. La dinamica dei momenti musicali, mai interrotti per tutta la durata dell’opera, e l’inserimento delle parti di lettura ha dato più la sensazione di uno spettacolo di teatro-musica ben rodato, più che improvvisazione. Per non parlare dell’intensità del dialogo tra strumenti e voce, che riesce a creare un pathos che, ripeto, assomiglia molto ad una drammaturgia musicale più che ad una jam che attraversa dai momenti più rock, a quelli jazz o più specificatamente elettronici.
In tutto questo si inseriscono le parole di Artaud, vero fulcro della serata, sulla malattia mentale, vissuta come segregazione dalla società civile, proprio come lui venne rinchiuso per anni dopo aver segnato alcune gloriose pagine della cultura europea di inizio secolo, oltre a frammenti di altre voci e testimonianze sullo stesso argomento.
Seppur non essendo certi di niente, nell’aria a fine concerto c’è molta voglia di riproporre nuovamente questo reading. “Tanto” dice Capovilla, “mica dobbiamo provare!”
(Matteo Mannocci)