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“V”, lo dice fedelmente il titolo, è il quinto lavoro in studio per i britannici The Horrors. Prodotto da uno tra i nomi del momento come Paul Epworth, che va a sostituire lo storico e fidato Craig Silvey, si dimostra nelle intenzioni una sfida a sè stessi e ai fan della prima ora. Per me che li vidi all’Estragon per il tour di “Strange House”, l’effetto sorpresa è amplificato tornando indietro con la mente a quel breve concerto dark-punk di sì e no venti spettatori. Oggi, il risultato di un percorso lungo oltre dieci anni è una maschera – vedi copertina – di suoni e tendenze, quasi cugini di terzo grado degli ottimi e geniali musicisti dei dischi precedenti.
La scaletta è di dieci canzoni, come in passato, ed è una delle rare affinità con “Skying” o il capolavoro “Primary Colours”: laddove si poteva apprezzare una band dalle caratteristiche uniche, sia per la naturalezza con la quale fondevano il dark con lo shoegaze o la psichedelia al kraut-rock, sia per la forte personalità e la buona scrittura di fondo. “V” ci restituisce un leader tanto estroverso quanto “normale nel suo essere famoso”, che gioca a fare Beck immerso negli anni ottanta in “Point of No Reply” o il Dave Gahan di “Personal Jesus” nell’iniziale “Hologram”, melange industrial che sfuma in una coda ambient interminabile. L’eccessivo minutaggio unito ai refrain in loop è altro fattore penalizzante, a maggior ragione in un singolo ipercommerciale come “Something To Remember Me By” – un crossover tra Booka Shade e Katy B, qualcosa di ruffiano e melenso che non ha nulla a che vedere con la musica degli Horrors. Problema che riguarda anche l’accoppiata “Press Enter To Exit” (Robbie Williams meets Madchester) e “Ghost”, un lento trip-hop elettronico dall’arrangiamento persino fastidioso alle orecchie.
Gli altri brani usciti fanno leggermente meglio; “Machine” pur con l’impressione di già sentito (Underworld? Nine Inch Nails?) tinge di groove una nenia claustrofobica e bombardata di synth, mentre “Weighed Down” ci riporta nella reale dimensione del gruppo originario dell’Essex, tra le chitarre distorte di Joshua Hayward e il pathos interpretativo di Faris Badwan. Si salva anche “World Below”, come “Still Life” in territorio Simple Minds ma in debito anche con gli U2 futuristici di “Mofo” e il Bowie di “No Control”. Troppo poco per quella che doveva essere una conferma ad alti livelli.
Mi auguro che gli Horrors del dopo “V” tornino sui loro passi: non è mai troppo tardi.
58/100
(Matteo Maioli)