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Haley Fohr aka Circuit des Yeux è sicuramente prima che una artista interessante, quella che definirei come una personalità eccentrica. Accostata negli anni variamente a Zola Jesus, Laurel Halo oppure Jenny Hval, la giovane artista di Lafayette, Indiana ha saputo effettivamente proprio in virtù del suo carattere particolare sviluppare un suo stile unico e peculiare e che si traduce in composizioni discografiche suggestive e al di là della riuscita oppure no delle ‘operazioni’, sicuramente interessanti.
‘Reaching For Indigo’ è il suo ultimo lavoro uscito lo scorso 20 ottobre 2017 via Drag City Records ed è stato presentato come un EP anche se in verità in virtù della sua durata complessiva, superiore alla mezz’ora, potrebbe benissimo essere considerato a tutti gli effetti come un nuovo LP. Si tratta in ogni caso di un lavoro carico di inquietudini e che ci viene presentato come una specie di istantanea e una riflessione su di un momento preciso della sua esistenza: il 22 gennaio 2016. La notte di quel giorno infatti, mentre era nella sua casa di Chicago, Haley ebbe una specie di crollo e si ritrovò seduta sul pavimento di casa sua in preda a uno stato definito come ‘convulso’ vomitando e piangendo.
La genesi del quinto album in studio di Haley Fohr come Circuit des Yeux di conseguenza non è stata semplice ma costituisce il punto di arrivo di un lungo percorso di introspezione interiore e che è passato anche attraverso quella che è stata la costruzione ideale di una sua seconda personalità, Jackie Lynn, l’alias che ci ha voluto presentare come una specie di criminale impegnata nello spaccio di sostanze stupefacenti e svanita nel nulla dopo avere lasciato in eredità il disco omonimo uscito lo scorso anno su Thrill Jockey Records.
Dice Haley Fohr che quella notte, il 22 gennaio 2016, alla fine si è compiuto il miracolo: Haley Fohr è diventata Circuit des Yeux e Circuit des Yeux è diventata Haley Fohr, ma in questo disco c’è molto anche di Jackie Lynn e probabilmente non potrebbe essere altrimenti. Un rito esorcistico, questo disco, dalle sonorità cupe e sperimentali e in bilico tra vocalismi e estetica indie pop e una devozione per la soul music (‘Brainshift’, ‘Paper Bag’) e una certa cultura mitteleuropea (‘Black Fly’) che si traduce di conseguenza in interpretrazioni teatrali (‘Philo’, ‘Geyser’) e che mostrano da una parte una certa sacralità nello stile della Nico più solenne (‘Falling Blonde’) mentre altrove riprendono quella disperazione e espressività delle urla di Yoko Ono (‘Philo’, ‘A Story Of This World Part II).
La proposta finale potrebbe apparire come troppo varia, ma invece è evidente ascoltando ‘Reaching For Indigo’ che c’è un filo comune che tiene legate tra loro tutte queste canzoni e in un equilibrio apparentemente fragile anche la personalità sensibile di Haley che qui compie un rito esorcistico e pure senza realizzare un disco che si potrebbe considerare come un vero e proprio capolavoro, si rialza in piedi e spalanca timidamente le ali, preparandosi a spiccare il volo.
60/100
(Emiliano D’Aniello)