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Sono sincera, su The War On Drugs sono e sarò sempre di parte. Seguo questi ragazzoni guidati da Adam Granduciel da molto tempo, visti in tempi non sospetti quando ancora facevano fatica a riempire un evento gratuito (correva l’anno 2012, uno dei primi Beaches Brew Festival all’Hana-Bi, eravamo in meno di 100 e furono due ore di trip totale).
Ad oggi i WOD sono cresciuti, il loro pubblico anche (lo conferma un Fabrique non sold-out ma comunque strapieno), eppure la naturalezza con cui Adam e compagni salgono sul palco ed imbracciano gli strumenti non è cambiata.
Dalla prima nota li senti, sono loro. E’ quell’inconfondibile sound fatto di echi di chitarre e tastiere che sembrano shoegaze ma non lo sono, psych ma anche no, dreamy, sabbia che viene trasportata dal vento forte.
La scaletta non delude le aspettative di questo live tanto atteso da molti, iniziando da pezzi come “Baby Missiles”, “Pain”, “Strangest Thing”, “Holding On”, fino a una “Under The Pressure” durante la quale anche i pali della luce avrebbero mosso la testa a tempo, se fossero stati presenti.
Tra giochi di luci rosse e fumo, Granduciel e soci si ritirano con una “You Don’t Have To Go” in versione semi-acustica che lascia quasi con l’amaro in bocca, ma soltanto perchè sì, nessuno di noi era pronto a svegliarsi da quel sogno durato due ore, che nemmeno i secondi di silenzio tra un pezzo e l’altro dettati dai cambi chitarra (ok, forse non me li aspettavo, ma lo capisco, there’s no business like show business) sono riusciti ad interrompere.
Le chitarre forse saranno anche fuori moda, ma non importa, quando esistono gruppi come The War On Drugs, provare per credere.