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John Carpenter probabilmente non ha bisogno di presentazioni. Il regista cresciuto a Bowling Green nel Kentucky è chiaramente uno dei maestri del genere horror, che contribuì in maniera massiva e determinante a rilanciare negli anni anni ottanta, ma allo stesso tempo uno dei pochi registi che disimpegnandosi anche in altri generi considerati solitamente ‘minori’ come la fantascienza e il cinema d’azione, sia riuscito a essere allo stesso tempo tanto popolare quanto influente e degno di attenzioni come pochi altri negli ultimi trent’anni. Questo succede probabilmente in primis per la sua particolare abilità nel raccontare le storie, senza mai scadere in un inutile drammatismo o ricercare a tutti i costi di rappresentare in scena un pathos particolare, ma sempre adoperando quella sua ironia tipica e probabilmente necessaria per esorcizzare generi come l’horror o il cinema di azione. Ma non sottovaluterei la sua giusta attenzione a temi di natura sociale (a partire da ‘They Live’) e le sue scelte rivelatesi sempre azzeccate per quello che riguarda mettere l’attore giusto al posto giusto (significativa in questo senso la sua partnership con uno dei suoi attori feticcio, cioè Kurt Russell). Tutte caratteristiche che del resto sono state tanto portate sul grande schermo quanto hanno costituito allo stesso tempo delle vere e proprie qualità dello stesso John Carpenter, che non a caso è particolarmente amato dai suoi fan per il suo carattere eccentrico e gioviale e per il suo spirito critico nei confronti degli USA e in generale della società occidentale in cui viviamo.
Un punto di forza dei film di John Carpenter tuttavia, sin dai suoi esordi, sono state le colonne sonore, composte tranne rare eccezioni da lui stesso medesimo mediante l’utilizzo di strumentazione analogica come tastiere e sintetizzatori. Composizioni minimaliste ma allo stesso tempo cariche di contenuti emotivi e di suggestioni e di quel ‘thrilling’ necessario per la giusta combinazione con le opere cinematografiche e le diverse scene rappresentate. Proprio John Carpenter del resto, intervistato al riguardo, con grande modestia, del resto ha ammesso di non essere affatto un grande musicista. In questo senso sicuramente il suo stile si può definire più spartano di quello di altri artisti e compositori del genere a partire da Vangelis oppure Giorgio Moroder, ma non per questo (anzi) meno influente.
Così ecco che dopo aver pubblicato negli ultimi anni due dischi di composizioni inedite (‘Lost Themes’ e ‘Lost Themes II’) e definite come ‘colonne sonore di sample’ adesso John Carpenter ci propone ‘Anthology: Movie Themes 1974-1998’, una raccolta nella quale assieme a suo figlio Cody e al nipote Daniel Davies (la stessa squadra che ha lavorato ai due dischi precedenti) reinterpreta tredici dei temi classici più popolari della sua cinematografia raccolti per la prima volta in un solo volume.
Il risultato è un disco chiaramente imperdibile per i fan storici del regista, che collezioneranno anche questa altra piccola ‘gemma’ come un ulteriore oggetto di culto, ma può essere chiaramente apprezzato anche da chi per qualche oscura ragione non sia mai entrato in contatto con nessuna delle sue produzioni cinematografiche e in questo caso magari dare all’ascoltatore la giusta spinta per addentrarsi nel mondo di una delle menti più geniali e visionarie del cinema americano di tutti i tempi.
75/100
(Emiliano D’Aniello)