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Da un po’ di tempo a questa parte ho sviluppato un interesse particolare nei confronti delle proposte musicali della Boring Machines (Dream Weapon Ritual, Heroin in Tahiti, Paul Beauchamp, Squadra Omega…), etichetta trevigiana fondata da Onga nel 2006 che non predilige un particolare genere, bensì una certa componente emozionale (disagio, rabbia, stati di meditazione e allucinazioni psichedeliche) e concettuale. Una piccola grande realtà tutta italiana messa in piedi da Onga dopo varie esperienze nel settore, compreso quello che possiamo definire come uno ‘studio’ di approfondimento presso la Kranky Records di Chicago, e che gestisce personalmente e direttamente considerandola a ragione una sua ‘creatura’.
Ho contattato quindi Onga per una fruttuosa e proficua “chiacchiarata” via e-mail.
1. Ciao Onga. Mi sono appassionato colpevolmente da poco alle vostre produzioni. Direi di cominciare dall’inizio. Cioè dal 2006, l’anno a cui si fa risalire la nascita dell’etichetta discografica. Come e quando è nata l’idea di questo progetto e con quali contenuti? Ti sei in qualche modo voluto ispirare a altre esperienze di questo tipo (non necessariamente italiane)? C’è un orientamento specifico anche sul piano ideologico? Ad esempio ci tieni a sottolineare che ogni packaging è fatto con materiale di riciclo e che ogni singola pubblicazione è curata a mano presso la sede dell’etichetta. Lavori da solo al progetto in questo momento?
ONGA. Ciao Emiliano, beh meglio tardi che mai! Per mia fortuna, Boring Machines non è un’etichetta che vive sulle mode del momento, mi piace pensare ai dischi che pubblico come abbastanza “timeless”, anche se un minimo di riconoscibilità in un contesto storico la conservano. Quindi non c’è un momento buono o uno cattivo per avvicinarvisi.
La domanda che mi fai è delle più classiche, la cosa buffa, al netto dei fatti realmente avvenuti è che è cambiata nel tempo la risposta che tendo a dare a chi mi chiede come e perchè ho iniziato a fare questa cosa. Ultimamente la risposta assomiglia sempre di più alla domanda: perchè l’ho fatto? Non potevo anche io godere dei frutti del mio lavoro, acquistare una casa, fare delle vacanze dalle quali ricavare un sacco di materiale per il mio profilo Instagram? Non potevo farmi una vita come tutti? Boh, forse potevo ma credo di aver avuto, in questi ultimi undici anni, un’urgenza diversa.
Nel 2004 a Chicago mi sono incontrato per un po’ di chiacchere col boss di una delle mie etichette preferite, la Kranky, e sono rimasto affascinato dagli insights riguardo alla gestione dell’etichetta e ho capito che, non avendo nessuna vocazione artistica, avrei potuto mettere al servizio della musica che mi piace le mie doti più spicciamente pratiche ed il mio gusto per le belle cose. Mi piacciono molto i dischi belli che sono confezionati bene e ho cercato di dare il mio apporto.
La menata del materiale riciclato suona bene eh? Non tutte le carte che uso sono di seconda mano, anzi, ho una grande passione per delle carte abbastanza costose devo dire. Negli anni il processo si è un po’ più industrializzato, se così vogliamo dire, ma mi affido sempre per la stampa e il confezionamento dei dischi a persone che hanno il mio stesso pallino per le cose fatte bene e non un tanto al chilo come spesso accade.
Lavorare da solo fa bene alla salute, quando fai delle cose buone ti gasi come un leone e quando fai delle cazzate te la puoi prendere solo con te stesso, in questi casi si tende ad essere molto autoindulgenti. In più mi consente di lavorare secondo i miei ritmi. Purtroppo per me, sono fuori casa almeno dodici ore al giorno per lavoro e quando torno non sempre ho l’energia per stare dietro a tutti gli appunti che mi ero segnato, così la to do list slitta un po’ in avanti, ma almeno quando parto, mi ci butto a capofitto e non sono costretto a perdere tempo in decisioni collettive. Lo faccio già troppo di giorno eheh.
2. Quali sono i processi con i quali selezioni che cosa produrre oppure no. Ci sono molti artisti che si propongono per lavorare assieme alla tua etichetta? Sei tu a contattare artisti che ti piacciono? Magari tutte e due le cose.
ONGA. Una cosa che non faccio quasi mai è quella di propormi in maniera diretta ai musicisti che mi piacciono. Sono timido e sono anche consapevole che non ho granchè da offrirgli, quindi diciamo che c’è tutto un gioco di posizionamenti, chiacchere, ammiccamenti, che a volte sfociano in collaborazioni. La maggioranza delle uscite che ho fatto nasce da incontri a concerti o festival con persone che già conosco e che seguo, la vita di società è un buon veicolo per conoscere le persone e i loro progetti.
La maggior parte delle volte comunque sono i musicisti ad approcciarmi, che è una cosa che da un lato mi riempie d’orgoglio perchè è un segnale di stima nei confronti del lavoro che porto avanti (oppure semplice disperazione? Parliamone). Negli ultimi anni questo aspetto ha preso una piega imbarazzante perchè il numero di richieste che ricevo è letteralmente decuplicato. Di fianco ai soliti che scrivono a caso a tutte le etichette che gli passano per le mani, ce ne sono anche molti, moltissimi, che in effetti fanno un tipo di musica che si potrebbe immaginare all’interno dello stile di Boring Machines. Io però, non posso certo fare tutto. Non ne ho ne la capacità nè le risorse.
Purtroppo, e qui torno sul concetto di “disperazione”, ci sono moltissime persone che registrano musica e poche etichette/strutture che la stampano e la promuovono, solo così mi spiego le decine di mail che ricevo dove mi si dice che “saremmo felicissimi di collaborare con voi” SEH!.
In tempi come questi, in cui di dischi se ne vendono pochissimi, la necessità di fare da filtro è sempre più importante. Io di mio sono assolutamente contrario, ne ho discusso anche con qualcuno del mio roster, alla continua proliferazione di progetti incrociati che ogni tre mesi sfornano un disco e che vorrebbero darlo alle stampe.
No amici, vi prego no. Tutto questo non fa bene alla musica e non si fa altro che buttare sul mercato tonnellate di musica tutta uguale, magari buona ma non eccezionale. Bisogna tendere all’eccellenza, bisogna almeno provarci e non avere tutta questa fregola di mettere fuori ogni cosa che esce dalla vostra cameretta/studio. Come? Ah ma una cassetta limitata 30 copie? No, nemmeno quella.
Siete dei vanitosi disperati che stanno sgomitando all’interno di una massa così grande che neanche nei cgi delle battaglie del Signore degli Anelli. Fatevene una ragione, concentratevi sulla musica che fate e soprattutto appena avete registrato due note, non sbucate all’improvviso in mezzo al bosco urlando “ehi ehi sono qui!”, che le bestie selvatiche si spaventano. [questa tagliala va’]
Il metodo di scelta per me è sempre lo stesso: superate le prime diffidenze, di solito passo un po’ di tempo ad ascoltare sempre i soliti due o tre dischi che ho in proposta, quelli che mi sembrano piacermi di più vanno a finire sullo stereo della macchina, la mia sala d’ascolto privilegiata. Se il disco passa la selezione autostradale ha delle ottime chance di venire pubblicato.
3. Sempre relativamente gli aristi che collaborano con l’etichetta, i loro lavori ti vengono presentati in via generale come già definiti (oppure propriamente finiti) o questi ti vengono prima presentati sul piano concettuale e magari attraverso delle demo. Lavori assieme a loro in fase di produzione del disco? C’è proprio una specie di affiancamento e di sostegno oppure sei interessato direttamente al prodotto finale? In che rapporti sei con gli artisti che produci: consideri il tuo lavoro in questo senso solo come qualche cosa di professionale oppure come legato alle tue passioni e quindi anche vincolato a un aspetto diciamo umano sul piano relazionale con i musicisti e gli addetti ai lavori. In questo senso: c’è anche una interazione tra i diversi artisti che fanno parte di quello che possiamo definire il ‘roster’ dell’etichetta?
ONGA. Come accennavo all’inizio, come musicista sono una capra, ma sono un grande ascoltatore da sempre, prediligo sentire già il disco nella sua forma finita o quasi, perchè da una demo scarna faccio fatica ad intuire dove potrebbe andare a parare. Poi dipende, un disco di canzoni si deve reggere su uno strumento e la voce, se è banale non c’è arrangiamento o produzione che tenga. Nel caso di dischi dove il suono è protagonista, mi serve sentire come suona per capire se mi interessa o meno. Mi capita ogni tanto di suggerire qualcosa riguardo alla produzione finale, ma in generale lascio che il musicista si esprima al 100% a modo suo.
In ogni caso, la parola “professionale” la prenderei con le pinze. Per quanto io cerchi di fare le cose nel miglior modo possibile, a volte comportandomi in modo più professionale di molti professionisti, rimango un dilettante. Diletto, non lavoro. Se questa cosa non mi rende felice, se non mi da l’occasione per stare meglio e tenere lontani gli spettri che incombono costantemente sulla mia giornata, non avrebbe senso farlo. Per questo motivo, prima di tutto si parla di rapporti umani. Nella maggior parte dei casi, non sempre è stato possibile all’inizio, i dischi che ho pubblicato sono tutti di gente che conosco personalmente e che stimo come persone prima di tutto. Se non sento che c’è una condivisione di intenti e di retroterra culturale, non credo sarei interessato ad interagire. Sono già costretto tutti i giorni dal mio lavoro ad interagire in maniera forzatamente educata con persone che fosse per me gli staccherei la giugulare a morsi.
Idem dicasi per tutti i possibili attori di questo magico mondo della musica, che già rispetto a quando ho iniziato è notevolmente deteriorato. Non ho nessun interesse ad intessere falsi rapporti di cordialità con persone che non stimo o che non reputo interessanti, distanti da me. Non me ne viene in tasca niente, dovrei corrompermi per cosa? Per vendere ventisette (27) copie in più di un disco? Per avere una recensione in più sulla rivista X o Y? Non mi interessa proprio, non è quello che sto facendo, mi occupo di altro.
Gli artisti di Boring Machines non si conoscono tutti tra di loro credo, alcuni abitano molto lontano da altri, qualcuno è più riservato o semplicemente gli pesa più il culo di muoversi e magari andare a vedere/trovare un “collega”. Alcuni hanno collaborato tra loro in passato, si sono dati una mano magari per trovare date, altri sono stati convocati assieme in serate a tema Boring Machines. Di certo posso dire che di base sono tutte persone che messe assieme in una stanza sono per me una gran goduria da frequentare.
Naturalmente non per questi motivi la musica passa in secondo piano. Quella viene sempre prima di tutto, però come non pubblicherei mai il disco brutto di un amico, non sono nemmeno interessato a pubblicare un disco bello di una persona che non mi fa sentire bene. E ce ne sono alcune che, diomio, sono veramente un palo in culo.
4. Prendiamo un soggetto completamente a digiuno su che cosa sia la Boring Machines e le sue produzioni. Al netto di tutto quello che abbiamo detto, come presenteresti l’etichetta e il tuo lavoro. Ci sono delle produzioni in particolare cui sei più legato e/oppure artisti/dischi che consideri particolarmente rappresentativi per quello che è il lavoro dell’etichetta?
ONGA. Questo è il momento in cui dovrei rispondere che tutti sono uguali etc etc, però capisco la necessità di indirizzare un potenziale ascoltatore verso quello che potrebbe aspettarsi da Boring Machines. A me piacciono le sfide toste, quindi per stendere un quintetto base attorno al quale lavorare, sceglierei, andando in ordine cronologico:
Be Maledetto Now! – Abisso del Passato vol.1 / vol.2
Luciano Maggiore & Francesco Brasini – Chàsm Achanes
Von Tesla – Raised by Clear Acid
Everest Magma – Modern/Antique
WK569 – Omaggio a Marino Zuccheri
Sono cinque dischi non facili da digerire per il neofita, ma credo che sia giusto affrontare direttamente il nocciolo della questione senza procrastinare. Il payoff dell’etichetta è “Quit Having Fun” e qui non c’è davvero niente da ridere.
Poi certo, ho fatto anche delle cose più accessibili e che sono quelle che commercialmente hanno avuto magari riscontri migliori, ma se una volta indovinata la formula tendessi a ripeterla all’infinito, non sarei più io. Mi piace spiazzare, mi piace spiazzarmi.
Un aneddoto simpatico a riguardo: quando gli Heroin in Tahiti mi mandarono il loro doppio album “Sun and Violence” da ascoltare, rimasi basito dalla tarantella che partiva direttamente alla traccia due “500 Cells”. Basito tipo gli attori de “Gli Occhi del Cuore”, tipo. Una tarantella, su Boring Machines. Inaudito. Venivo da un terzetto di album praticamente ambient/drone (Zone Demersale, Squadra Omega, Balestrazzi/Z’EV) e nonostante al momento sembrasse uno scarto improvviso in un’altra direzione, sentivo che andava fatto. E’ ancora uno dei miei pezzi preferiti del disco, è ancora uno dei miei dischi preferiti di sempre.
5. Come si inserisce il tuo lavoro e quello dell’etichetta all’interno del contesto di Treviso in cui vivi? C’è attenzione nei confronti del lavoro che fai e in generale noti un qualche interesse nei confronti della musica diciamo ‘alternative’ (comunque non mainstream) oppure generale disinteresse. In generale consideri che la Boring Machines nel suo piccolo abbia creato o faccia comunque parte di una ‘scena’ o pensi che sia una realtà isolata e che ha anzi magari potuto svilupparsi proprio distaccandosi da determinati schemi e realtà del nostro paese e in particolare del posto in cui vivi?
ONGA. Per essere maggiormente precisi, e mettere la bandierina della geolocalizzazione che tanto piace ai colossi del web, io vengo da una frazione di un comune che sta a 25km da Treviso. La provincia, della provincia, della provincia della periferia dell’impero.
Prima che iniziasse il percorso di Boring Machines, avevo già avuto diverse attività nel mondo della musica legate a questo territorio: nel 2001 assieme ad un amico componevo il duo Martini Bros djset, una specie di radio sul campo che portava in alcuni locali del Trevigiano i dischi nuovi in uscita da sentire, secondo il nostro gusto e nel mio caso con una discreta attenzione all’underground italiano.
Dal 2003 ho fondato Basemental, un piccolo network, con Pavia e Milano – dove sopravvive ancora – che si occupava di organizzazione di musica dal vivo. Ho organizzato concerti in una ex-sala prove per molti anni, avendo la possibilità di avere ospiti internazionali alcuni ora scomparsi, altri che son diventati relativamente famosi nel frattempo.
Durante tutto questo periodo un po’ tutti gli interessati alla musica della zona si sono incrociati in una di queste situazioni. Una scena trevigiana, o veneta, non so se si possa dire tale, ma è sicuro che da una quindicina di anni a questa parte ci sono delle realtà che sono state o rimangono ancora, colonne portanti dell’underground veneto. Ti sto parlando per esempio del giro di Montebelluna/Conegliano/Vittorio Veneto, che se anni fa sfornava gruppi come i With Love, Mojomatics ed altri ancora, ha visto negli anni proseguire l’esperienza con Squadra Omega, Von Tesla, l’OutsideInside Studio, il Codalunga di Nico Vascellari che ha, nei suoi primi anni, cementato una scena di noiser-sperimentatori in luoghi lontani dalle centrali dell’hype.
Il vantaggio che si ha, abitando da queste parti, oltre ad uno scenario naturale decisamente invidiabile, è quello di essere al tempo stesso connessi con quello che succede in giro per il mondo ( grazie internet! ) ma anche staccati da certe dinamiche paracule che avvengono nelle grandi città. In un’epoca come questa, dovendo scegliere tra stare in una delle grandi centrali “del fare” come possono essere Milano o Berlino o guardare da lontano cosa succede e decidere con calma se mi interessa o meno, continuo a propendere per la seconda.
Emiliano D’Aniello
P.S. Ringrazio Onga a nome mio e di tutta la comunità di Kalporz per averci dedicato del tempo e per le risposte interessanti alle domande che gli sono state rivolte e dalle cui risposte si evince chiaramente la grande passione e dedizione che mette nel suo lavoro.