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Le parole “transangelic” e “exodus”, scelte da Ezra Furman per il titolo del (suo) quarto album senza Harpoons (prima band del cantautore), sono estremamente significative: un aggettivo e un nome che riassumono la forte componente narrativa e quasi cinematografica del disco.
L’ “esodo transangelico”- nei termini pensati dal musicista chicagoano – è un viaggio libertario, dai toni quasi (ma non del tutto) spirituali: il termine “esodo” richiama il libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana, citato in un verso nel booklet del disco, ed è associato esplicitamente al “trans-angelo”, che nella mente dell’artista americano è una persona con un corpo umano in trasformazione, vicino alla fisionomia di un angelo con le ali, non accettato dalla società e dalle autorità governative.
Si potrebbe quindi dire che Furman sviluppa un concept album ma non sarebbe totalmente corretto: non esiste, infatti, un concetto di fondo trattato, discusso nel corso di tutti i brani ma ogni canzone contiene al proprio interno frammenti di storie e idee immaginifiche (costruire una casa negli occhi, “I’ve built a home inside his eyes”), evocazioni di luoghi (della California soprattutto,“Car wash waiting room outside Pasadena”, “I’ve been driving down to L.A.”).
La scrittura è quasi una forma di ispirazione felliniana, tra le braccia di Morfeo, “ […] è una sorta di mistero, come un sogno, sai? Mi sono ritrovato a scrivere di questo angelo illegale e dell’essere in una macchina, e quasi tutte le canzoni sono ambientate in macchina, sfuggendo a autorità ostili ” racconta Furman in un’intervista a Billboard il 12 febbraio 2018.
Partendo dal sogno e dall’immaginazione nascono quindi le tredici tracce contenute nell’album registrate con la band di sempre che per l’occasione cambia nominazione: non più Boyfriends ma Visions, da un’idea di Sam Durkes (batterista del gruppo di Furman), condivisa però con il resto della band.
Ed effettivamente la musica del musicista di Chicago assume una nuova veste musicale: pur rimanendo solido il filo conduttore con le ultime produzioni discografiche dell’artista – che come “Transangelic Exodus” lavoravano di addizione e non di sottrazione, riempiendo ogni spazio della struttura delle canzoni – questo quarto album da solista (anche se accompagnato da un gruppo) segna un punto di svolta nel percorso musicale di Furman, il cosiddetto lavoro di transizione. In cabina di registrazione siede sempre Tim Sandusky (fedele collaboratore e polistrumentista), si parte da quanto fatto nei dischi precedenti, allargando però ulteriormente lo spettro sonoro di riferimento: arrangiamenti sempre più ricchi, impreziositi dagli archi (già presenti in “The Year Of No Returning” (2012) e che diventano protagonisti in brani come “Love you so Bad”) e trame elettroniche. Salta fuori, quindi, in maniera prepotente un disegno artistico fortemente ambizioso che si pone l’obiettivo – e sembra riuscirci quasi sempre – di osare e provare a creare un’opera fuori dai canoni folk e rock’n’roll dei lavori precedenti, che contenga un messaggio di protesta, così la chiama Furman nel booklet – “a protest record”, che parta magari da riferimenti autobiografici o pseudo – tali (il condizionale è d’obbligo) ma che abbia un valore universale: gli “angeli fuorilegge” possono essere metaforicamente parlando tutti gli individui che spesso vengono lasciati ai margini della collettività. Un disco come “Transangelic Exodus” si avvicina quindi al linguaggio del cinema, parla per immagini: lo scenario centrale, come già accennato, è quello del “viaggio in macchina come fuga da se stessi o dagli altri”, concetto non nuovo nella poetica di Furman, già richiamato in brani come “Haunted Head” (contenuto in “Perpetual Motion People”, 2015) o “Mysterious Power” (che addirittura fa parte del repertorio con gli Harpoons). La volontà, però, di associare diversi immaginari per Furman è inedita: da un parte la rappresentazione del viaggio come forma di libertà, la non accettazione del “diverso” in senso lato (“No Place” – ispirata dalle storie dei nonni ebrei durante il periodo nazista) ; dall’altra il cambiamento, trasformazione del proprio corpo (cara a Furman, che sia nella vita che nell’arte ha a cuore la fluidità di genere) raccontata tramite la storia romanzata (“il corpo che si trasforma in angelo”) e il racconto autobiografico (l’esperienza del vestirsi con abiti femminili in segreto di “Maraschino Red Dress $8.99 at Goodwill” o la relazione con un ragazzo che fa perdere l’innocenza di “I lost my Innocence”). Nel mezzo di questi due percorsi narrativi si inserisce anche la fede ebraica di Furman, che lontano dai dubbi espressi in “And Maybe God is a Train”, si è rafforzata, dando spazio alla spiritualità, riflessa nel tentativo di trovare la forza dentro il proprio corpo di “God lifts up the Lowly” (“I’ve looked deep into this frail human body/And I know that I carry a power “) e nella meditazione mattutina di “Peel My Orange Every Morning” (“And I take my time with the peel/It’s my beginner’s meditation/To start my little journey on an even keel).
In conclusione, quindi, “Transangelic Exodus” è forse la produzione discografica più articolata pubblicata da Ezra Furman: la rappresentazione di una nuova identità artistica.
71/100
(Monica Mazzoli)