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La Boring Machines sfodera subito le sue armi in questo inizio 2018 con questo incontro tra due bravi musicisti come Jochen Arbeit (Einsturzende Neubauten, AUTOMAT) e l’italiano Paolo Spaccamonti, chitarrista e compositore sperimentale che negli anni ha collaborato con alcuni tra i migliori artisti del panorama nazionale come i romani Mombu, Stefano Pilia, Bruno Dorella e il cantautore Riccardo Sinigallia oppure internazionali come Damo Suzuki oppure Julia Kent (con cui è stato in tour nel 2017 assieme proprio a Stefano Pilia) e Ben Chasny dei Six Organs of Admittance con cui peraltro condivide una certa affinità sul piano proprio compositivo e concettuale se pensiamo a alcune considerazioni del musicista americano per quello che riguarda le sue speculazioni in campo musicale sviluppate secondo quel sistema che ha voluto definire come “hexadic” e che può essere tradotto anche in termini geometrici.
Proprio alla “simmetria” del resto sono ispirati i contenuti di questo album e che qui viene rappresentata in maniera simbolica in un luogo specifico come Piazza CLN a Torino, dove due fontane che raffigurano i fiumi Po e Dora Riparia e con due chiese gemelle alle loro spalle si fronteggiano in una simmetria prospettica. Allo stesso modo qui Jochen Arbeit e Paolo Spaccamonti (che si sono conosciuti proprio nella città di Torino) e le loro chitarre si specchiano, come se i due fossero davanti allo specchio oppure dentro un film diretto da Sergio Leone e in cui le musiche di Ennio Morricone suonano in una maniera fragorosa, riprendendo temi thrilling di Dario Argento (proprio in un appartamento di Piazza CLN viene commesso il primo omicidio di “Profondo rosso”) per poi letteralmente esplodere in un fragore di suoni vibranti e carichi di oscillazioni noise e una certa oscurità che ha quasi un carattere mistico come del resto possono essere proprio gli aspetti più nascosti e persi nelle sabbie del tempo delle scienze matematiche e della geometria.
“CLN” in uscita il 9 marzo 2018 è un disco di musica elettrica che sembra quasi essere viva e pulsante di riflessi densi di visioni cinematiche, come se le figure volessero uscire dai fotogrammi di una vecchia pellicola cinematografica e prendere vita in una dimensione amorfa e distorta e quasi malata, piena di inquietudini e una certa angoscia e disperazione che sembra paradossalmente affondare le sue radici fino a fondo nella storia del cinema muto di inizio secolo 1900. Derivato in questo senso anche dalle esperienze maturate in campo teatrale e cinematografico da parte dei musicisti, ritengo che tuttavia questo disco invece che essere “visto”, come se fosse un’opera neo-realista oppure proprio come se fosse la vita vera (se questa esiste), vada letteralmente vissuto fino in fondo.
78/100
Emiliano D’Aniello