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Gli Ought, per il loro terzo disco “Room Inside the World”, hanno scelto la strada del cambiamento.
Le novità non si notano tanto nel genere, quanto nei suoni e in alcuni dettagli che il quartetto ha affrontato con un’attitudine differente rispetto al passato. E forse era davvero l’unico modo per confermare quanto di buono era stato fatto con i precedenti “More Than Any Other Day” e “Sun Coming Down”, percorsi da una new wave diretta e spontanea. L’evoluzione artistica degli Ought degli ultimi due/tre anni si condensa dunque in quello che sentiamo in questo nuovo lavoro, passando per il disco solista di Tim Darcy (pubblicato l’anno scorso) che, anche nella band proveniente dal Canada, si riflette in una maggiore versatilità vocale. L’iniziale “Into the Sea” è un’evidente dimostrazione di questo, così come “Desire”.
Non solo chitarre: in “Room Inside the World” il suono si fa spesso più strutturato, senza per questo perdere d’intensità. In bilico tra pop raffinato e new wave troviamo i brani che avevano anticipato l’album. “These 3 Things”, dal vago retrogusto 80s, l’elegante “Disaffection” e le chitarre di “Disgraced in America”. Pur mantenendo attivo l’estro i quattro musicisti badano anche alla forma canzone, non tanto nel minutaggio quanto nella quadratura di ogni singolo brano. Segno, questo, di una maturità artistica ormai pienamente raggiunta.
Dopo gli ultimi secondi di “Room Inside the World” gli Ought ci convincono pienamente con la nuova strada intrapresa.
80/100
(Francesco Melis)