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È difficile descrivere il turbinio di note, colori, sorrisi, salti ed emozioni che hanno invaso il Fabrique martedì scorso. O forse no, è semplicissimo.
I Phoenix sono una macchina da live praticamente perfetta e con qualcosa in più rispetto alla stragrande maggioranza delle band in circolazione: trasmettono positività, serenità o – come si diceva un tempo – good vibes.
Il sorriso (apparentemente) timido di Thomas Mars, il gigioneggiare mai supponente dei fratelli (chitarristi) Bracowitz/Mazzalai e l’impressionante batterista svedese Thomas Hedlund, che picchia le pelli come se fosse appena uscito da un mito norreno, hanno un effetto inebriante sull’umore dei tantissimi.
Il mix di suono, il solito suono ingegnerizzato alla perfezione – per i critici forse un po’ piatto, troppo perfetto? – e di luci – spettacolari, iper-tecnologiche (audio-reattive), ma con tantissimi richiami “vintage” all’estetica disco music e (perché no?) italo-disco, catapultano il pubblico in un’esperienza collettiva in cui è impossibile non ballare, ridere e saltare.
È pop, certo, ma di gran classe e davvero straripante.
La playlist è una mitragliata di super-hit che saccheggiano principalmente il capolavoro “Wolfgang Amadeus Phoenix”, ma anche “Bankrupt!” e l’ultimo “Ti amo”, omaggio dei transalpini al bel paese (prima del concerto nelle casse suonano Battisti, Rino Gaetano e Mina). E addirittura fra gli ultimi encore del concerto comparirà una cover acustica di Emozioni del Lucio Nazionale.
“J-boy” apre il concerto in un caleidoscopio psichedelico di colori, seguita a ruota da una “Lasso” durante la quale siamo meravigliati di vedere come la batteria resista ai colpi spaventosi del drummer vichingo. Poi “Entertainment” – più bella dal vivo che in disco! -, l’inno indie-pop “Lisztomania”, passando per una “Too Young” “mixata” con “Girlfriend”, fino ad una iper-danzereccia “Ti amo” e a “Rome”, onirica e trascinante, durante la quale il buon Thomas canta in equilibrio sorretto dalle mani delle prime file.
Il momento forse più intenso dell’intero concerto è il capolavoro post-pop “Love Like Sunset”, una strumentale lunghissima, strutturata e sognante, che con crescendo prima elettrico poi elettronico fa tremare le pareti e il cuore, per sfociare in un chorus malinconico durante il quale le luci pian piano si affievoliscono.
Spetta alla canzone forse più nota dei Phoenix, l’immortale “If I evel feel better”, pietra miliare del pop french touch, chiudere la prima parte del concerto, voci all’unisono e platea trasformata in un dancefloor.
I bis cominciano con Thomas e chitarra – “Countdown” e “Goodbye Soleil”. dolci e intensissime – per poi esplodere insieme a tutta la band con “Fior di latte” e la potentissima “1901”, prima della conclusiva “Ti amo” di più, in cui il nostro si avventura in mezzo al pubblico fino a metà locale, per tornare sul palco con il più classico dei crowd surfing.
Sorrisi a 32 denti ovunque e good, wonderful vibes, in questo periodo storico grigio – per non dire nero – se ne sente davvero il bisogno.
Vorremmo avere qualcosa da dire sul live di Giorgio Poi, acclamato a gran voce dai presenti anche durante il concerto dei Phoenix, ma siamo arrivati troppo tardi sentendo solo da lontano le note di Tubature e Niente di Strano, comunque di grande effetto. Bravo Giorgio!
(Virginia Tirelli)
foto qui sopra di @chrisop83
foto in home di @dissoluzione