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Nicola Guerra ha deciso di scrivere una monografia a forma di fiaba per bambini che racconta la storia degli Sparklehorse. Non chiedetevi il perchè, godetevela.
C’era una volta un cavallo di nome Mark, la cui più grande aspirazione era quella di diventare scintillante. Voleva cantare, suonare la chitarra e nel contempo risplendere quasi quanto le stelle. Questo cavallo aveva sembianze umane, un cuore umano, una voce delicata, malinconica e soave, ma umana. Non nitriva, non mangiava erba (talvolta la fumava) e viveva in posto lontano chiamato Virginia. Era un cavallo docile, dotato di grande sensibilità ed aveva chiara la sua missione dopo aver assistito ad uno spettacolo straordinario di un certo Neil il Giovane, musicista canadese che girava il mondo con una congrega di cavalli pazzi. Era chiaro, il cavallo Mark avrebbe fatto il musicista e capì che per poter risplendere avrebbe dovuto dar luce ai suoi sentimenti alquanto contrastanti. Da un lato l’intimismo dell’uomo, con le sue paure e le sue debolezze, dall’altro la vitalità e la gioia di trovarsi a galoppare attraverso praterie incontaminate, con il vento in faccia e il rumore degli zoccoli sui campi rigogliosi. Proprio da questa ambivalenza nasce il suo primo disco intitolato semplicemente “Vivadixiesubmarinetransmissionplot”, perfetto altalenarsi di sfuriate rock, ballate notturne e rumori a interferenza, che donano all’opera un misterioso fascino che appaga tutti. Mark diventa un cavallo famoso, tutti si complimentano con lui, il signor Capitol lo invita spesso a prendere il thè, un elfo inglese dal nome Yorke ne loda le gesta e canzoni come “Homecoming Queen”, “Spirit Ditch” e “Heart of Darkness” sono, è proprio il caso di dirlo, cavalli di battaglia di indubbio valore destinate a resistere alle intemperie del tempo. Mark però si guarda allo specchio e non vede quella luce che dovrebbe farlo diventare un cavallo speciale, diverso da tutti gli altri. Questo fatto lo rabbuia, crea in lui sconforto, apatia e disillusione tanto da spingerlo in un bosco buio come la notte a mangiare bacche velenose e ingurgitare arbusti tossici. Viene salvato per miracolo da un ragno gentile che viene giustamente omaggiato nel nuovo disco intitolato proprio “Good Morning Spider”. Nessuna inversione di tendenza rispetto all’esordio, ma una propensione maggiore alle melodie Pop, canzoni che come zucchero filato in una fiera di balocchi si destreggiano fra maiali impazziti, mucche macellate, uccellini portatori di dolore, piccoli gomiti della Santa Maria che in queste galassie fatte di caos possono finalmente vedere un uomo felice. A dispetto delle liriche, sempre più ossessive, quella luce che stenta ad accendersi e i soliti fantasmi che riempiono la stalla accogliente di Mark, il grido verso il cielo dice che la vita è davvero meravigliosa e che bisogna viverla appieno, assieme alle persone che più si amano. Così Mark decide di organizzare una festa, di quelle piene di palloncini, colori, torte, candele accoglienti e carillon d’epoca dove bizzarri invitati non mancano di omaggiare e cantare con il cavallo Mark tutta la gioia nel trovarsi in un posto davvero incantevole. C’è la bellissima dama Polly Jean che suona e canta su un pianoforte di fuoco, l’Orco di Pomona che si destreggia a spalleggiare la porta del cane e Nina La Bionda che indossa un Cardigan dorato che riflette una luce irreale. Ma purtroppo non è ancora la luce che il cavallo cerca da tempo. In compenso, il tempo passa e di Mark si perdono le tracce fino a che l’incontro con un gigante pazzo chiamato Daniel riconsegna fiducia al povero cavallo smarrito. Il gigante gli chiede gentilmente di aiutarlo a scrivere un capolavoro e Mark, che non è mai riuscito nell’impresa di brillare, dona la sua anima a quello che, a detta di molti, è un favoloso esempio di pazzia ai servizio della fantasia. Un luccichio di luce riflessa che dona speranza, ardore e nuova consapevolezza al cavallo che finalmente ha intuito come donare profondità alla follia. Così, in compagnia del suo amico Dave “Labbra Fiammanti” Fridman e di un Topo Pericoloso, il nostro Mark si dirige nel ventre della montagna per coronare e concludere il suo sogno. La famigerata luce però è visibile solo a sprazzi, quando i fantasmi ad esempio aleggiano nel cielo, quando il miele delle api si getta nelle ombre e quando il sole si lascia prendere da lontano. Il resto è il solito tentativo, non riuscito, (da parte del cavallo) di conquistare una luce. Noi che lo amiamo non facciamo che ripetergli che la sua luce è già presente da anni nel vasto firmamento. Lo cercano invano di convincere l’Austriaco uomo elettronico Fennesz e di nuovo il Topo Pericoloso, che lo coinvolgono nel progetto “La notte oscura dell’anima”. Un luogo nel quale Mark incontra il fighetto Casablanca, il freak barbuto Wayne Coyne, il visionario e onirico David Lynch, il ciccione Black Francis che in passato era riuscito a mandare una scimmia in paradiso, l’iguana nuda Iggy e il ragazzo sulla carrozzella Vic Chesnutt. Quest’ultimo decide di fare un viaggio di sola andata nell’oblio e come per magia la sua stella inizia a brillare nel firmamento. In quel momento Mark capisce che solo un viaggio senza ritorno può concedergli la meritata visibilità, la scintillante luce che per quarantotto anni ha inseguito senza esito positivo. Così compra una pastiglia velenosa color argento e si dirige verso uno specchio che riflette dei binari morti, infiniti, desolati. Non ci sono fazzoletti a sventolare su quei binari e nemmeno folle oceaniche accorse a dare l’ultimo saluto. Però tutti sappiamo che, alzando gli occhi al cielo, quella luce che tanto ci acceca è il desiderio di un cavallo che ha trovato finalmente il luogo a lui più congeniale.