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La scorsa settimana un caro amico ha subito un lutto, uno di quelli enormi, non descrivibili propriamente a parole come è quello della perdita della mamma. E qualche giorno dopo ha postato una frase che ha risuona nella mia testa continuamente: “We’re only tourists in this life”, verso tratto da “Everybody’s Coming To My House” di David Byrne. Dentro di me questa constatazione dell’essere di passaggio associata alla figura del turista mi ha fatto cadere nell’abisso dell’ascolto reiterato di “The Tourist” dei Radiohead, che è riapparsa lì, perfettamente definita a dirmi qualcosa che non avevo colto.
Ma quel “Hey man, slow down” è solo un grido a rallentare la nostra vita frenetica? A rallentare le nostre occupazioni? Un inno a monito della disumanizzazione della tecnologia, come si è sempre detto inquadrando “OK Computer” in quel tema? Non credo. Il cuore mi dice un’altra cosa.
E se Yorke ci volesse dire di rallentare invece i nostri sentimenti? Che vanno veloci, che non sono costanti, che sono effimeri. Dilatarli, sempre di più, come in uno slow motion. Arrivando al massimo del ralenti, fino a quando l’immagine è ferma, e i sentimenti sono immobili. Per poterli abbracciare e custodire in eterno.
They ask me where the hell
I’m going?
At a thousand feet per second
“…fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, ma il problema non è la caduta ma l’atterraggio”
Un abbraccio, caro amico, è quello che ci resta.
(Paolo Bardelli)