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Il loro debutto “DEAD” nel 2014 vince il Mercury Prize, il premio per il miglior album UK dell’anno, battendo artisti del calibro di FKA Twigs e Jungle. Il loro secondo disco “White Men Are Black Men Too” ravviva il percorso di ascesa, permettendo loro di cominciare a comparire abbastanza in alto nelle classifiche di fine anno o nei cartelloni dei festival europei. La collaborazione con i Massive Attack, finalizzata nell’EP “Ritual Spirit”, allarga ancora di più il giro delle attenzioni a loro rivolte, così come comparsate e partnership con mostre e d’arte e happening in rinomate gallerie. Danny Boyle li sceglie per la colonna sonora di Trainspotting 2, aggiungendo che “they fit so perfectly” con il suo attesissimo film. Il passaggio alla prestigiosa Ninja Tune compiuto qualche mese fa poi incuriosisce e sorprende, scaldando l’attesa per il nuovo materiale musicale. Insomma, se la vogliamo dire in poche parole: il terzo disco degli Young Fathers porta con sé parecchie, parecchie aspettative, e si può senza dubbio scrivere che sia il disco più atteso della loro seppur breve carriera.
Ad anticipare la release di “Cocoa Sugar” sono stati due singoli che mostrano fin da subito qualche cambiamento nella cifra stilistica del trio multietnico di Edimburgo: “Lord” riprende ed esalta quella struttura ibrida di alternative, hip hop, gospel e contaminazioni tribali e cacofoniche su cui sono stati costruiti gli album precedenti, mentre con “In My View” si palesano inediti passaggi dalle tinte più smaccatamente pop. Anzi, nell’economia del disco, il ritornello di “In My View” segna il momento più orecchiabile di “Cocoa Sugar”.
In un certo senso, è proprio questa ambivalenza – tra pop e rumore, tra musica accessibile e ascolto disturbante – la vera essenza dell’album. Come gli stessi autori raccontano in una lunga intervista al Guardian, “Cocoa Sugar” è un disco che parla degli opposti, di zucchero dolce e cacao amaro, di bright side e dark side, riletti in tre chiavi di lettura diverse: la musica, che si agita tra tensione e distensione; la società che viviamo; la nostra individualità di cittadini del mondo. D’altronde fin dai tempi del debut-album il trio ha incentrato la produzione musicale su una personale e inconsueta lettura dell’attualità, spesso raccontata attraverso strane allegorie e curiosi simbolismi, e quindi non deve sorprenderci il fatto che molte delle liriche dell’album siano intrise da un’attitudine che potremmo definire quasi “politica”.
È la terra che gli Young Fathers abitano – l’UK come l’Europa – a raccontare di avvenimenti ai quali i tre non sono rimasti certo indifferenti: anche se in forma di metafore, in “Cocoa Sugar” sono presenti alcuni dei temi più caldi del nostro tempo, come la migrazione dei popoli e la crisi dei rifugiati di guerra, lo scontro generazionale, la Brexit. “Border Girl” parla di addi e sangue, di ricordi e morte; “Wow” dell’estetica dell’eccesso individualistico, dell’iperbolica società del singolo (“What a time to be alive / I’mma put myself first / Everything is so amazing”), “Holy Ghost” di speranza e di fede ardente (“I’ll cross the border in the morning”), “Lord” di libertà e futuro sereno (“While the government wants to control / Our country will set you free”).
Se insomma a questo album non mancano di certo le cose da dire, dal punto di vista prettamente musicale non segna la definitiva consacrazione che invece ci si aspettava. Il passaggio a Ninja Tune si avverte: quasi tutte le canzoni sono costruite su un tappeto metronomico di pulsioni elettroniche, come in passato era stato per pezzoni tipo “Shame”, ma qui non si raggiunge mai quel grado di incisività. La sensazione è quella di un album che ti stia per esplodere tra le mani da un momento all’altro, ma il botto finisce per noi arrivare mai, sopito forse da una ricerca melodica un po’ troppo ostinata e che sembra aver allontanato la band dalla sua riconoscibilissima immediatezza espressiva. Alle produzioni finemente lavorate manca lo spunto finale, fatta eccezione per due o tre brani: oltre ai già citati “Holy Ghost” e “In My View”, anche “Tremolo” e “Toy”, che riprendono quelle energiche miscelature di gospel e hip hop espresse anche nei primi due album.
Volendo utilizzare il titolo del disco come pretesto, si potrebbe scrivere che a forza di giocare con gli opposti “Cocoa Sugar” finisce per non essere né amaro, né dolce. Peccato.
70/100
(Enrico Stradi)