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Anche quest’anno abbiamo il privilegio di pubblicare aggiornamenti giornalieri dal Festival di Cannes. Lo storico kalporziano Meale ci racconta quindi quanto è successo mercoledì 9 maggio.
Si apre la settantunesima edizione del Festival di Cannes, quella della grande contrapposizione – almeno sulla carta – tra la direzione e la stampa, che non potrà più vedere i film del concorso in anteprima. Si apre con una serata inaugurale un po’ trash, poco degna di un evento culturale e più simile sotto certi aspetti a una sagra di paese. Si apre con un film, Todos lo saben di Asghar Farhadi, che vede un grande regista iraniano, tra i migliori esempi di cinema d’autore nella contemporaneità, arrancare dietro una storia di ripicche familiari stucchevole, con tanto di vago riferimento alla lotta di classe gestito in maniera frettolosa. Si apre con una giuria iper-glamour, che avrà in Cate Blanchett la sua guida e ospita al suo interno tra gli altri Kristen Stewart, Léa Seydoux e Denis Villeneuve. Si apre con Martin Scorsese che sale sul palco e in un francese rivedibile dichiara aperto ufficialmente il festival, abbracciato proprio alla Blanchett. Si apre però anche con la funesta notizia dell’ictus – per fortuna pare lieve – che avrebbe colpito Terry Gilliam, e che mette a repentaglio la sua presenza sulla Croisette, dove tra quasi due settimane esatte verrà presentato il suo attesissimo The Man Who Killed Don Chisciotte.
Cosa sarà di questa edizione è davvero troppo presto per dirlo, ma i primi due giorni lasciano intravvedere una selezione di titoli sicuramente forti da un punto di vista mediatico ma sui quali non è forse troppo opportuno scommettere a scatola chiusa. Intanto, già archiviato (e in gran parte dimenticato) il mélo di Farhadi, ci siamo lanciati nella visione del fluviale Dead Souls, nuovo parto creativo del cinese Wang Bing. Il film, presentato fuori concorso tra le Séances spéciales, è un documentario di otto ore e un quarto che affronta con grande coraggio e un rigore che non dimentica l’umano la tragedia di coloro che nel 1958, durante il cosiddetto “grande balzo in avanti”, vennero considerati controrivoluzionari dal governo di Pechino e inviati nei campi di rieducazione nel bel mezzo del deserto di Gobi. In pochi sopravvissero, e tra questi gli intervistati scelti da Wang, uomini oramai ottuagenari che raccontano con dovizia di particolari la loro esperienza. Un’opera dura, difficile da affrontare ma fondamentale, e di grande spessore. Questa visione ha ovviamente impedito di fatto di recuperare altro, ma il festival è appena all’inizio. Ci sarà da divertirsi, o almeno questa è la speranza…
(Raffaele Meale)