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Addendum è uscito in Aprile a corredo del boxset dell’opera omnia in vinile di John Maus e presto sarà fuori come release a sé stante. Fa evidentemente il paio con il recente “Screen Memories” (2017) e realisticamente rappresenta un po’ il suo lato B. Stiamo parlando di canzoni che sarebbero potute uscire in varie forme e questa è una delle tante plausibili. Soprattutto, questa è la piacevole occasione per avere ancora a che fare con John Maus: scheggia impazzita, Prof. di Filosofia, talento avanguardista quanto pop, destrutturatore di canzoni facili e orchestratore di un barocco sui generis.
Nella carriera di John Maus c’è stato quello stacco (di sei anni, fatta eccezione per la raccolta di rarità del 2012) che ha probabilmente contribuito ad ingrossarne il mito. Ma il lasso di tempo intercorso tra “We Must Become The Pitiless Censors Of Ourselves” e le nuove produzioni ce lo presenta un po’ cambiato, più calibrato, se vogliamo anche più a fuoco, sicuramente meno mostruoso. Quel disco del 2011 deflagrava in un momento in cui parole come ipnagogico e retromania rischiavamo di trovarle anche su Famiglia Cristiana. Erano anche giorni nei quali la cosa del pop sintetico sporcato non aveva ancora evidentemente sfiancato.
In quel clima e con il suo bagaglio di sensibilità ipermelodica unita all’esperienza maturata con gente come Ariel Pink, John Maus faceva il suo disco della vita. Inequivocabilmente. Continuo a sostenere che “We Must Become…” sia il disco più bello degli ultimi dieci anni, ma solo negli istanti in cui lo ascolto. Poi ok, quando lo metto via, scivola di svariate posizioni. Credo che l’una e l’altra cosa dipendano da un’immediatezza talora eccessiva, da quelle tastiere ridondanti, dai ritornelli che strappano il cuore, almeno il mio. E dal fatto che quel profluvio di inni e ninne nanne suoni ancora così sdrucito, scolorito e punk. Non è solo questione di suoni, sennò sarebbe facile. In quell’album ci sono infinite trovate melodiche (solo formalmente elementari) che sembrano provenire da un altro mondo. Sono melodie che nascono già irrimediabilmente imperfette, ancor prima di registrarle in quel modo. Quello è un mondo vicino e insieme distante, è aria di casa ma è anche impalpabile. Un po’ come il magma dei ricordi o dei sogni nel dormiveglia.
Ecco, per capirci, il nuovo corso di John Maus, sia per “Screen Memories” (a dispetto di questo titolo) che per “Addendum”, non ha quei contorni eterei e nostalgici. Niente, non si verifica qualche accidentale Madeleine. Eppure John Maus macina le sue esperienze in una manciata di pezzi discreti con una patina dark-wave che non è di maniera (“Outer Space”). Le canzoni di “Addendum” sono relativamente organiche nel suono e definite strutturalmente (“Episode”). A volte siamo sull’argine del post-punk col basso in primo piano, altre su territori carpenteriani o con qualche fuga tastieristica in salita. Le prime tre posizioni della raccolta funzionano parecchio bene perché oggettivamente ispirate. Il resto, sì, diciamolo, lascia quell’effetto (pur sempre valido) da bonus cd.
John Maus con il suo cantato baritonale (oggi più intellegibile che in passato) viaggia da sempre sul filo tra l’autoironia e il fare sul serissimo. Non vogliamo e non dobbiamo decidere dove collocarlo a forza. Magari la componente ironica tendiamo a volergliela applicare dal di fuori per provare a sentirlo un po’ meno disturbante, sia per cosa canta (prendi “Dumpster Babies”) che per come lo interpreta. Comunque, alle esibizioni odierne con tutta la band come il bel live negli studi di KEXP, continuo a preferire il John Maus che urla scomposto sulle basi. Sì, il John Maus che saltella come un ultrà rimasto da solo in una curva deserta. Uno che sembra non riuscire a dire tutto quello che vorrebbe e così facendo arriva esattamente a farne sentire il violento e affascinante peso.
65/100
(Marco Bachini)