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Alla sua diciottesima edizione, il Primavera Sound sembra aver definitivamente trovato il suo equilibrio. Non sono mancate le polemiche, soprattutto dalle nostre parti, da parte di chi criticava la presenza di headliner che strizzano un po’ troppo l’occhio al mondo rap e al mondo pop, cosa che succede ormai in tutti i festival del mondo di dimensioni medio-grandi. Con la differenza che, così il Sonár, anche il Primavera continua a resistere alla tentazione di cedere al mondo EDM che imperversa ormai non solo al Coachella.
Non staremo qui a elencarvi ancora una volta la line up, ma, compatibilmente con le disponibilità degli artisti in giro in uno dei weekend più attesi della stagione dei festival internazionali, anche quest’anno ce n’è davvero per tutti i gusti, dal rap alle avanguardie elettroniche, passando per gli inevitabili nomi da Primavera che hanno caratterizzato con una cadenza biennale o triennale tutte le edizioni degli ultimi dieci anni. Quelle che hanno trasformato un festival medio-piccolo di nicchia in un evento per tutte le età ed estrazioni musicali: gli over 35 che hanno popolato come da tradizione il Parc del Forum per i big della giornata inaugurale, dagli Spiritualized ai Belle & Sebastian (con il folgorante ritorno dei Wolf Parade a rappresentare i gloriosi Anni Zero), ai kids che hanno murato la nuova area hidden per il local hero spagnolo Yung Beef, mischiandosi poi agli habitué (un po’ straniti per la mancanza di chitarre) , nella “festa d’apertura” sempre più elettronica e fresh che ha dato spazio alle conturbanti Mavi Phoenix e Kedr Livanskiy (tra le novità vincenti del festival), alla nuova rising star dell’house Shanti Celeste (da applausi), alla devastante accoppiata Umfang/Volvox e al set disidratante di Vladimir Ivkovic b2b affiancato da una delle migliori dj e selector contemporanee, Lena Willikens. Tutto molto femminile. Finalmente.
Per offrire un racconto completo del Primavera Sound servirebbero probabilmente dieci inviati per redazione. E i filoni da seguire sono sempre di più, con il Primavera Bits, l’eccentrico angolo di lungomare raggiungibile con un ponte sempre più intasato a qualsiasi ora, che assurge alla dimensione di festival nel festival con il palco Bacardì Live che ospita artisti che un tempo sarebbero stati tranquillamente ospitati in uno dei vecchi main stage. E con il nuovo stage Xiringuito Aperol che si estende fino alla spiaggia balneabile (aperta fino alle 18 per probabili problemi di ordine pubblico) e che inaugura ufficialmente la programmazione del Parc del Forum, a partire dalle 12 di giovedì con una sei ore di party da spiaggia presentata da Four Tet, con altri tre ospiti di lusso del calibro di Daphni, Josey Rebelle e Champion (una formula replicata con successo dalle sei ore di set di Floating Points venerdì e dal prestigioso Dekmantel olandese il sabato). Gli spritz scorrono a fiumi, e sono graditissimi soprattutto da anglosassoni e nordeuropei abituare a spendere il doppio, se non il triplo per un cocktail di questa (per noi trascurabile) gradazione alcolica.
Seguendo un confuso e ubriacante ordine day by day ed evitando di parlarvi di ciò che non ha convinto, la vincitrice della giornata inaugurale di giovedì, e probabilmente dell’intero festival è lei, Björk. Da tempo agognata dai cultori del Primavera Sound, con un’attesa esasperata dalla cancellazione di un suo show qualche anno fa, l’icona islandese dimostra che è possibile invecchiare bene e soprattutto continuare a esser sul pezzo senza fare la figura di chi fa il giovane per sembrare sul pezzo. Aiutata dall’allestimento molto floreale e ancestrale del set e dai visual inimitabili del socio di Arca, Jesse Kanda, Björk regala una liturgia da brivido, elegante, contemporanea, sommessa e mai noiosa, incentrata per lo più sull’ultimo album “Utopia”, con qualche vecchia gemma che accende una platea ammutolita di almeno 15mila persone: “Isobel” da “Post”, “Human Behaviour” da “Debut”, “Pleasure Is All Mine” da “Medulla”, “Wanderlust” da “Volta” . Difficile da descrivere a parole, ma chi c’era, ha assistito a un pezzo di storia del Primavera Sound (o di storia della musica). Provate a farvi un’idea con il video.
Tra le tante sovrapposizioni ci vuole anche fortuna e, pur rinunciando a 3/4 dello show di Nick Cave per assistere allo schizofrenico, super-contemporaneo live di Fever Ray (dopo Björk era impossibile fare meglio, ma ci siamo quasi), si riesce a imbattersi in due chicche (“Loverman” che non suonava dal 1999 e “Come Into My Sleep”, in uno show, quello dei Bad Seeds, ormai adagiato sugli altissimi livelli di sempre, ma con una scaletta troppo spesso aggrappata alle solite hit. Si diceva che è un Primavera molto black e molto femminile, in linea con quanto di meglio offrono le migliori tendenze contemporanee. E infatti Kelela, aiutata dal sound dell’arena Ray-Ban offre il perfetto show crepuscolare. Minimale, sofisticato, ammaliante, tra i momenti migliori del lunghissimo weekend. Tra gli altri highlight del 31 maggio (che diventa presto 1 giugno per gli orari sempre spagnoli, benché puntuali e al minuto del festival), merita una segnalazione Vince Staples, stessa arena di Kelela, e una tenuta del palco che pochi rapper contemporanei (parliamo di rap, non di trap, precisiamolo) riescono a reggere per quasi un’ora, con naturalezza e il giusto scazzo. La prossima volta, siamo pronti a scommetterlo, sarà in uno dei due main stage. Four Tet, con il suo set buio e narcotizzante, è forse penalizzato dall’orario, ma chi lo rispetta e lo conosceva, sapeva di andare incontro a qualcosa di molto Autechre e senza compromessi. Tutto molto più facile, dall’altra parte del festival, per Floating Points (entrato bene nel clima dell’orario) e i Mount Kimbie che regalano il solito live, forse un po’ piacione ma efficace. DJ Koze ci manda a letto contenti prima che sorga il sole, quando a una certa ora, i calcoli diventano pochi e conta solo la compagnia e la voglia di percorrere ulteriori chilometri.
Venerdì dovrebbe essere il giorno dell’headliner più discusso della storia del Primavera, ma i Migos inconsapevolmente impediscono l’inevitabile fiume di polemiche, preferendo perdere il volo da Atlanta e la coincidenza per arrivare a Barcelona, così al loro posto è convocato Skepta cui si offre un jet privato per andarlo a pescare in quel di Londra. Salvo poi spostarlo da venerdì al giorno dopo (rendendo ulteriormente drammatiche certe sovrapposizioni). Nello slot dei Migos vengono piazzati gli unexpected locali, che chi frequenta il Primavera da un po’ conosce (suo malgrado bene), i Los Planetas. La scelta scombina i flussi, sempre calcolati con perizia, mandando migliaia di persone (a cui dei Litfiba spagnoli interessa nulla) a zonzo per gli altri palchi. L’area Primavera Bits diventa ingestibile, c’è chi vi rimane bloccato dopo il live da sorriso a 40 denti dei Superorganism e vi trova una mezzora di decompressione con l’ottimo R&B adulto di Jorja Smith e poi con quello di Mike D dei Beastie Boys (non eccellente, ma gli si porta l’ovvio rispetto).
A parte questa parentesi di delirio, la seconda giornata al forum è vinta a mani basse da Tyler, The Creator che un po’ come Vince Staples tiene lo show con la classe di un veterano (anche lui è ormai un habitué del Primavera), senza spingere troppo e ospitando sul palco uno degli headliner del giorno dopo, il vecchio amico e più volte collaboratore A$AP Rocky. Rhye e Sevdaliza offrono due diverse interpretazioni del nuovo pop elettronico dalle reminiscenze R&B. Nel primo caso è uno show classico, soffuso e rilassante, nel secondo un circo vagamente goth e dai toni forti. Ci aspettava molto da Arca e The Internet, ma il primo, forse istigato dal set di Sevdaliza, esagera col circo impostando la performance in un set a dir poco eterogeneo che tocca reggaeton e black metal, i secondi, sempre in un palco Pitchfork a livello di suoni più penalizzante del solito, sembrano suonare in sala prove e la performance non decolla mai. Di John Maus bastano due brani per vederlo morire grondante di sudore. Di Charlotte Gainsbourg bastano due brani per coglierne la classe e l’eleganza del set. I Confidence Man sono il classico nome che nessuno sa chi sia e ci si avvicina incuriositi per dare una chance. Perfetti per l’orario e lo spazio, l’arena Ray Ban.
Nella giornata di chiusura, quella solitamente salvata da pranzi luculliani in quel di Barceloneta per sopravvivere e dare al fisico le ultime energie, ci ricorderemo a lungo dello show di Oneohtrix Point Never. Daniel Lopatin, nella prima data dall’uscita del nuovo attesissimo album “Age Of” si presenta seduta alla tastiera, la voce spinge sull’harmonizer in scuola Bon Over, è per il resto ci accompagna nella notte inoltrata con un set intenso, cluastrofobico, vibrante. C’è chi vede i mostri, c’è chi non riesce a muoversi. Impossibile schiodarsi dal Bacardì live. Per un’ora è mesmerizzazione vera. Un gradevole incubo di mezzanotte.
Tra gli altri set da segnalare ovviamente, come previsto, spiccano i Grizzly Bear che con una scaletta da greatest hits tornano al Ray-Ban per dare a tutti lezioni di musica, A$AP Rocky, autentico animale da palco in un dei live accolti con un clamore davvero selvaggio da un pubblico molto giovane e molto britannico. Da rivedere con più calma (ci attendeva il rituale dei Grizzly Bear) la discussa headliner Lorde che per la giovane età dimostra un talento pop davvero cristallino. C’è chi come lei, l’aveva messo in mostra dieci anni fa questo talento, per poi perdersi. E stiamo parlando della nostra prediletta Lykke Li che regala un set al tramonto che strega i più scettici. Anche in questo caso le parole femminilità ed eleganza sono da elevare all’ennesima potenza. Menzione d’onore ovvia per i Beach House che hanno emozionato, come sempre, come solo loro. Sempre in tema rap e giovane, ha sorpreso tutti Rex Orange County, perfetto nell’atmosfera calda e assolata del tramonto sul molo del palco Pitchfork, mentre di lì a poco Ariel Pink la consueta, matta performance affiancato alla voce dall’inossidabile batterista dei Germs Don Bolles, una performance replicata, poi giorno dopo tra mille problemi tecnici, dopo lo sbriluccicante set dei Kero Kero Bonito.
Che dire, quando si riescono a vedere tutte queste cose e si potrebbero compilare almeno altri due itinerari con tutte le belle cose che succedevano troppo lontano o in sovrapposizioni troppo complicate?
Niente da dire, è il Primavera. Chi lo scredita, non c’è davvero mai stato.
All’anno prossimo. Ovviamente…
Le foto di Eric Pamies, Sergio Albert, Alba Ruperez, Paco Amate e Santiago Felipe sono tratte dal sito ufficiale.