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Per fortuna sono sempre di meno le persone che continuano a legare la figura di Anton Newcombe e la musica dei Brian Jonestown Massacre allo spettacoloso “Dig!” di Ondi Timoner, premiato a Sundance nel 2004. Il film-documentario ottenne un certo successo e contribuì e contribuisce forse ancora oggi (dove necessario) a far conoscere la musica dei Brian Jonestown Massacre, ma allo stesso tempo il suo lascito per quello che riguarda la figura artistica di Anton Newcombe resta discutibile. Di che cosa parla veramente quel documentario? Quanto rappresentato non fa giustizia alla genialità di un musicista influente come pochi per la controcultura musicale Made In USA e nel mondo della musica neo-psichedelica, né tanto meno ci offre un ritratto di Anton Newcombe che corrisponda alla verità.
Anton a Berlino ha trovato la sua giusta dimensione e la maggiore serenità ottenuta fa sì che la sua determinazione e il furore artistico siano mutati in lucida consapevolezza delle proprie capacità: Anton sente e sa perfettamente che cosa vuole fare e poi lo fa. Qualche volta, come in questo caso specifico, fa tutto da solo. Che poi, senza nulla togliere al risultato finale, per chi ama in maniera viscerale questo gruppo come il sottoscritto (perché negarlo) forse questo è l’unico rammarico: nel senso che alla pari di Anton, gli altri membri storici, a partire da Ricky Maymi e Joel Gion, Dan Allaire, Rob Campanella e il bassista Collin Hegna, fino alla new-entry Hakon Adalsteinsson (occhio al suo nuovo disco con i Third Sound…) costituiscono tutti assieme un ensemble di rara potenza e efficacia, come si può verificare assistendo alle loro performance dal vivo che sono ritornate a essere tanto frequenti quanto intense, considerando il numero incredibili di date in tour che si protraggono per mesi in giro per il mondo.
“Something Else”, il diciassettesimo disco in studio dei BJM è stato annunciato proprio alla vigilia dell’inizio del tour e anticipato del singolo “Hold That Thought”. Il disco (registrato tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018) si può considerare come un ritorno, dopo il trip acido sperimentale di “Don’t Get Lost”, a quello che è il sound tipico di questa nuova fase della band: quello di “Revelation”, “Pish”, “Third World Pyramid”… I contenuti vanno dalla già menzionata “Hold That Thought”, una vera esplosione di gioia sinfonica e che è già diventata uno dei classici della band, così come le visioni allucinate di “Who Dreams of Cats?”, un altro dei pezzi forti del disco assieme a “Fragmentation” e la conclusiva celestiale “Silent Stream” a metà tra Syd Barrett e i Master Musicians of Joujouka; “Psychic Lips” e “Skin Bones” hanno quel tipico groove psichedelico che accompagna spesso molte delle canzoni della “new age” dei Brian Jonestown Massacre, mentre si può definire più convenzionale e rock’n’roll “My Poor Heart” che piacerà sicuramente agli aficionados di vecchia data.
Comunque non finisce qui. Anton ha già annunciato la pubblicazione di un nuovo LP a settembre. Ci sono pochi dubbi sul fatto che si tratterà anche in questo caso di un lavoro cui Anton avrà dedicato tutto se stesso e che stupirà nuovamente i suoi ascoltatori che, invece che quelli cui piace starsene lì a vedere cadere le stelle, riconoscono nell’amore per la band un vero e proprio senso di appartenenza.
78/100
(Emiliano D’Aniello)