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Ci si trova sempre un po’ in imbarazzo quando si tenta di descrivere la musica in termini di “genere”: si ricorre per forza di cose ad utilizzare definizioni calate dall’alto, che suonano come etichette e che non aiutano a definire il sound particolare e caratteristico di un artista o di una band, il suo percorso artistico e di ricerca. Tutto questo è vero anche e soprattutto per la musica di Xylouris White.
Neanche l’ormai troppo abusata definizione di post-rock riuscirebbe a rendere l’idea del progetto musicale di questo duo. Un po’ perché in nessun modo possono essere paragonati a band come Mogwai o Godspeed You! Black Emperor o Slint, né a gente come i Tortoise. Un po’ anche perché alla batteria di White (ex Dirty Three) non si accompagna nessun altro strumento tipicamente rock: nessuna chitarra elettrica, nessun basso, ma solo il liuto greco e la voce baritonale del cretese George Xylouris.
Dopo i precedenti lavori (“Goats” del 2014, uscito per l’etichetta Other Music Recordings e “Black Pick” del 2016, prodotto per la Bella Union) il duo decide di affidarsi ancora una volta alle sapienti mani di Guy Picciotto (vergognatevi se non sapete chi sia!) per produrre un album in cui le sonorità mediterranee e medio orientali si fondono perfettamente con le sezioni ritmiche espressioniste delineate da White. Il loro è un approccio fortemente orientato alla performance live, uno stile compositivo in cui sono l’improvvisazione e l’inventiva tipiche del free-jazz a farla da padrona, mescolando sapientemente irruenza e dolcezza, ferocità ed eleganza.
Appena inserito il disco e premuto play, ci si trova già immersi fin da subito nella loro esperienza sonora: non a caso la traccia d’apertura si intitola “In Medias Res”, travolgente nel suo turbinio estatico di suoni disgregati e ritmiche interrotte, nel suo tambureggiare incoerente e nelle melodie appena abbozzate, dove sembra di assistere all’emersione del mondo dal caos.
Decisamente più rock e canonica “Only Love”, con la batteria di White che incalza il liuto elastico e nevrotico di Xylouris in un gioco fatto di rimandi e di inseguimenti, con un cantato fiero e disposto a sondare qualsiasi angolo inesplorato dell’esistenza.
È un album in cui sono le emozioni a parlare direttamente, agevolate dalla sapiente produzione che ha saputo lasciare inalterato il suono naturale degli strumenti utilizzati, riuscendo così a raggiungere il massimo grado di espressività e a donare all’ascoltatore un’esperienza ancestrale intessuta di richiami allegorici e storici: brani come “Daphne” e “Achille’s Heel” attingono a piene mani dalla mitologia greca, così come alle tradizioni popolari si riferiscono la toccante “Woman of Anogeia” (che si richiama alla città cretese e alle sue donne, rinomate per la loro leggendaria bellezza) e la dolcissima “Lullaby”, una ninna-nanna che chiude l’album e che vede la partecipazione alla viola e ai cori di Anna Roberts-Gevalt (del duo folk Anne & Elizabeth).
Sul sito ufficiale della Bella Union, George Xylouris spiega l’approccio compositivo del duo e il senso metafisico della loro musica, il cui tema è la riconquista della semplicità e di un approccio infantile alle cose: “So, we connect mother and child and play instruments as toys. Xylouris White is still gestating”.
Tutto il disco è perciò un continuo stupirsi e meravigliarsi delle potenzialità espressive della musica, e l’esempio più lampante sono i 7 minuti di “Motorcycle Kondilies”, brano monumentale eppure semplice nella sua struttura, costruito su una base ritmica muscolosa e allo stesso tempo minimale e sul liuto che costruisce ricami ipnotici su un pattern melodico reiterato, trasportandoci lungo un viaggio psichedelico in cui si deve re-imparare il semplice contatto con le cose e con gli oggetti, e dove la magia del ritorno all’infanzia appare un qualcosa di sempre possibile.
82/100
(Gianpaolo Cherchi)