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Il suo primo LP, “Panorama” è uscito a 11 maggio per 42 Records e ha messo in mostra, dopo il promettente EP del 2016, il talento di Verano. Anna Viganò, bresciana di stanza a Milano, nella realizzazione dell’album è stata affiancata da Lorenzo Urciullo (Colapesce), che ha scritto alcuni brani a quattro mani con Anna e che insieme a Giacomo Fiorenza ha prodotto il disco all’Alpha Dept di Bologna, masterizzato poi da Andrea Suriani (I Cani, Cosmo). Conosciamola meglio…
Da Paletti a Colapesce, come si è evoluta, in “Panorama” la tua composizione rispetto al precedente EP?
Sono cresciuta io come modo di scrivere e di approcciarmi alla canzone, sicuramente.
L’ep era il mio primissimo banco di prova e mi ha permesso di definire una forma Verano, che poi si è consolidata in “Panorama”.
Cosa ti ha spinto a lanciare il progetto Verano? Come lo definiresti in tre parole per chi non ne ha mai sentito parlare?
Da tempo sentivo di voler fare un progetto solo mio, in cui potermi misurare con la scrittura e poter miscelare gli ingredienti che reputavo più affini a me a livello di composizione.
Non è mai facile mettersi alla prova, che si tratti di un progetto solista o di un disegno a più mani. Con tutte le difficoltà del caso però penso di essermi fatta il regalo più bello del mondo.
Come definirei Verano? Canzoni che cercano di raccontare l’amore in modo universale. Sono andata ben oltre le tre parole e so che fra quattro secondi cambierò idea sulla definizione di Verano. Forse continuare a definire rende tutto troppo scarno. In tre parole, più che definirmi, direi: ASCOLTATE IL DISCO.
Per te che vivi a Milano, inevatibilmente uno dei contesti italiani musicalmente più attivi e centrali, dove sta andando la musica italiana oggi? Fare indie rock oggi può dare ancora soddisfazioni artistiche o è molto più difficile rispetto a qualche anno fa?
Vivo a Milano da parecchi anni e penso che in Italia non ci sia una città migliore per respirare innovazione, arte e musica. Ha una serie di limiti certo, ma mi dà tutto il nutrimento culturale e intellettuale di cui ho bisogno per poi riversare alcune visioni in musica.
Fare musica ha ancora senso, non parto dal genere perchè non mi interessa proprio come categorizzazione. Ovviamente non sono avulsa dalla realtà, conosco bene le dinamiche che mi stanno attorno, le ondate di IT POP e quelle di altri generi. Secondo me la musica non è mai stata così bene. Nel senso che da che ho ricordi non ho mai visto così tanti esseri umani interessati ad andare ai concerti, ad ascoltare nuove uscite. Ovviamente c’è un lato oscuro, e cioè trovo tutto questo direttamente proporzionale a un quantitativo di musica da social network, modaiola e profonda come una pozzanghera mai visto prima. Ma io penso che alla fine le canzoni universali restino, gli status di Facebook in forma canzone no. L’importante è che resti l’interesse della gente verso questa arte, che per molto tempo ho visto sopito.
Mi rendo conto che i brani capitali sono quasi sempre quelli del passato, chissà se è perchè nel frattempo ci siamo induriti o semplicemente perchè abbiamo avuto più occasioni di viverli. Fare una selezione dei 7 brani della vita è un esercizio complicatissimo, quindi adotto il metodo AUTOPILOT ovvero “se non pensi a nulla cosa metteresti?”. Qui i miei “non ho pensato a nulla”.
Beach House, “Wild”
I Beach House per me sono stati sempre grande fonte di ispirazione, quando uscì “Bloom” sono letteralmente impazzita per questo brano, che ho anche portato in giro per un po’ in una versione veranizzata.
Bon Iver, “Re:Stacks”
Un’altra grande folgorazione. Vidi Bon Iver per la prima volta al Pitchfork Festival a Parigi nel 2012, mi aveva folgorato il suo primo disco, ricevuto in dote da un amico americano qualche mese prima. Quando fece questo brano, che non era il mio preferito prima di sentirlo live, fu un’epifania. Uno dei pochi concerti in cui torni a casa e ascolti il disco in loop per tutta la notte. Forse non mi è mai più capitato.
St. Vincent, “Digital Witness”
Non ho mai fatto mistero sul fatto che per me St Vincent è una divinità. Questo brano ha una cazzimma tutta sua, ogni volta che lo sento è come se fosse la prima.
Cristina Donà, “Stelle Buone”
Ero al liceo, non concepivo la musica in italiano. Poi mi arrivò per le mani “Tregua”. Fu amore puro e necessaria guida per diventare quello che sono oggi. Il suo modo di scrivere è tra i più eccellenti e particolari che io abbia mai sentito. Assieme a Colapesce, pur avendo una cifra molto diversa.
Moltheni, “Suprema”
Un altro grande autore e un’altra grande guida. La purezza e l’integralismo spiegati con tre accordi.
The National, “Day I Die”
Un disco recente, che mi ha folgorato. Questo brano ha un potere fortissimo su di me, me lo canto praticamente costantemente da quasi un anno e mezzo. Mi farò vedere.
Iron & Wine, “Naked As We Came”
La loro delicatezza e il loro modo di approcciare gli arrangiamenti, a un certo punto della mia vita, mi colpì così tanto da farmi trasferire ad Austin (loro città) per qualche mese. Adoro le soluzioni chitarristiche, da chitarrista. E trovo che i loro brani diventino quasi dei mantra.