Share This Article
E’ luglio, ragazzi. Ci sono i Mondiali. C’è caldo. Non se ne ha voglia di scrivere articoli impegnati. Il #tbt di questa settimana dunque volge al frivolo, e anche in maniera banale, tipo il classico servizio estivo del Tg2 che occorre bere tanta acqua e non uscire nelle ore calde. Quindi prendetela così, come una bibita fresca e ghiacciata da scolarsi velocemente e non pensarci più.
P.S. Questa non una top dei “migliori momenti”, bensì dei momenti più “trash”. Ma oramai, in questi tempi liquidi, è tutto così confuso.
7. Joe Cocker e Jennifer Warnes, “Up Where We Belong” (da “Ufficiale e Gentiluomo”, 1982)
La soundtrack del film con Richard Gere contiene in realtà delle ottime canzoni (“Hungry for Your Love di Van Morrison, i Dire Straits con “Tunnel of Love”) ma è questa “Up Where We Belong” a rimanere nella memoria collettiva. E, nonostante questa top 7 sia dichiaratamente trash e con quel giusto schifio maschile per il romanticismo storicamente di competenza femminile (ora è tutto più sfumato, si diceva), mettendomi nei panni di Debra Winger mi sarei fatto prendere in braccio anch’io da un Richard Gere che fosse arrivato così deciso in uniforme bianca.
6. Bill Medley e Jennifer Warnes, “Time of my Life” (da “Dirty Dancing”, 1987)
Istruzioni per l’uso: non fare vedere questo film ad un 14enne. E’ certo che NON vorrà imparare a ballare. Troppo melenso, troppo macho Patrick Swayze per identificarsi, troppo bruttina Jennifer Grey per pensare che ne valga la pena di apprendere i rudimenti del ballo. Di solito succede che, per rigetto, dopo aver visto una pellicola del genere un ragazzo impari a suonare uno strumento, il che – per definizione – è il contrario di ballare (c’è chi suona, e c’è chi balla).
5. Gianni Fasano, “Come per magia” (sigla di “Anche i ricchi piangono”, 1980)
Ci fu un momento, quando arrivarono le televisioni private che a poco a poco si affiancavano alla Rai (Fininvest su tutte, allora Mediaset si chiamava così), che emerse anche il fenomeno telenovelas. Solitamente provenienti dall’America Latina, poi ribattezzate soap opera da quando ci si spostò più su negli States (“Beautiful”), nelle calde estati dei primi anni ’80 e specialmente nel 1982 arrivò in Italia pure “Anche i ricchi piangono” (telenovela messicana), strappalacrime storia di Mariana Villareal alias Veronica Castro che intrippava tutte le donne del bel paese, dalle mamme alle nonne. Un classico. Bearzot vinceva i Mondiali per gli uomini, e Luis Alberto Salvatierra faceva sognare il pubblico femminile trascurato dai mariti calciofili. Talmente un classico che, per mia nonna, il termine “mariana” – il nome della protagonista – divenne nome proprio per definire qualsiasi altra “telenovela”. “Paolo, l’é tacheda la mariana?” (trad. “è iniziata la telenovela?”). Che Dio l’abbracci, la nonna Ada.
La sigla? Beh, c’è davvero bisogno di commentarla nel suo essere squisitamente trash?
4. Richard Sanderson, “Reality” (“Il tempo delle mele”, 1982)
Erano avanti in Francia nel 1982. E’ l’impressione che ho avuto rivedendo “Il Tempo delle Mele” per caso qualche tempo fa. “Reality” è di fatto una canzone strautilizzata e un po’ frusta, ma è oggettivamente il pop più kitsch che ci sia e una delle canzoni che più avresti voluto ballare abbracciato (tanto per i lenti non bisognava mica imparare i passi di “Dirty Dancing”). E il fermoimmagine del viso di Sophie Marceau, estasiato come una Madonna, su cui scorrono i titoli di coda, vale il prezzo del biglietto.
3. Madonna, “Crazy For You” (“Crazy for You – Pazzo per te”, 1985)
E qui chi si ricorda il film? Io no di certo, non credo nemmeno di averlo visto. E’ che Madonna qui è ancora poco dopo il “periodo Papa Don’t Preach” (cit.) ed è bellissima in questa sua mise eighties che l’ha resa immortale. La canzone è sdolcinata, e appunto perfetta per questa top ad alto livello di glicemia.
2. Little Tony, “Profumo di mare” (sigla di “Love Boat”, 1981)
Molto prima di “Love Boat” di Bugo c’era questo telefilm super-romanticone di amori da crociera che aveva nella sigla, forse, la cosa che faceva più sognare. “Che bella la sigla, ascoltavo solo quella poi cambiavo canale” dice un commento su YouTube, ed ha detto tutto lui.
Peccato solo dell’utilizzo che ne ha fatto Checco Zalone: quando il trash rivalutato dal tempo incontra il puro trash odierno, beh, il risultato è solo spazzatura.
1. Phoebe Cates, “Paradise” (“Paradise”, 1982)
Qui oltre al romanticismo si aggiunge la parte fisica e non guasta. Anche gli ormoni maschili ringraziarono. Canta la canzone la stessa attrice protagonista con suadenza e immortala una melodia indelebile (su un film qualitativamente piuttosto indegno), opera di Paul Hoffert.
(Paolo Bardelli)