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Santigold è tornata (e a sorpresa), e al primo ascolto “I Don’t Want: The Gold Fire Sessions” è proprio a fuoco. Ma questo è un #tbt e non la recensione del nuovo disco, per cui il la dell’ultimo lavoro ci riporta indietro di dieci anni, nel 2008 esattamente.
Quando cioé Santigold in realtà era uscita con il nome “Santogold”, poi abbandonato per un contenzioso legale. In quell’anno Santi White era parsa un alieno che aveva portato sul pianeta terra una ventata di aria fresca interstellare, o meglio di una new-wave rivisitata con il gusto newyorkese e cosmopolita, tendente al reggae ma con una trasversalità di approccio che anche a distanza di tempo mantiene intatto il suo gusto non catalogabile.
Ma il capolavoro fu il video disturbante di “L.E.S. Artistes”, un impressionante sequenza di immagini (opera di Nima Nourizadeh) in cui dapprima ci presenta la capacità del viso di Santi di bucare il video in uno shooting su un cavallo in un interno boschivo artificiale, e poi passa in rassegna performance di apparenti lesioni umane costruite con oggetti artificiali in cui è evidente la non realtà ma il messaggio che passa, per via dell’interpretazione degli attori, è invece di vere disgrazie.
Un teatro dell’assurdo messo in scena in modo scientifico, al ralenty, per un video rimane nella memoria di chi lo vede anche una sola volta.
(Paolo Bardelli)