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I Radar Men From The Moon, il trio composto da Glenn Peeters, Jan-Titus Verkuijlen e Tony Lathouwers, ha spostato l’asse della scena neo-psichedelica europea nella città olandese di Eindhoven: l’Effenaar ospita regolarmente da anni un festival di musica psichedelica e nell’ultimo anno questo è stato specificamente edito dalla Fuzz Club Records, che ha così rafforzato la produttiva partnership con il gruppo. I nostri si erano già sperimentati in un album in collaborazione con gli GNOD di Paddy Shine (Salford, Regno Unito): il risultato fu Temple ov BBV, progetto presentato proprio durante l’Eindhoven Psych Lab nel 2016. Una piccola curiosità per chi legge la rubrica di musica psichedelica BRAINBLOODVOLUME qui su Kalporz: il titolo della rassegna è un omaggio proprio a disco frutto della collaborazione tra RMFTM e GNOD, concettualmente ispirato al lavoro di Bart Huges, scienziato olandese che nel 1965 formulò le sue teorie sulla “trapanazione” e poi raccontate in un testo di divulgazione denominato “The Mechanics of Brain Blood Volume (BBV)”.
Adesso i RMFTM ci riprovano con questo nuovo LP in collaborazione con i portoghesi 10,000 Russos, che si possono effettivamente considerare un po’ dei seguaci del verbo post-industrial e drone psichedelico dello stesso collettivo olandese e per forza di cose ci ritroviamo allora davanti a un disco molto potente, vigoroso, prodigio di meccaniche ossessive più che lisergico e seguace di visioni allucinate e sciamanesimo. Sicuramente c’è una componente violenta, quasi virulenta, in quella che si può definire come una specie di distorsione spazio-temporale, un grosso buco nero denso e privo di una forma definitiva. Glenn Peeters ha parlato di una ispirazione che questa volta muova dalla beat generation, cita William S. Burroughs, accostando le modalità di composizione alla scrittura secondo quelle modalità “cut-up” che qui pure sono state adottate, attaccando assieme una con l’altra diverse parti improvvisate; Joao Pimenta recita pezzi delle opere di Honore De Balzac de-frammentate all’nterno delle composizioni.
Abbastanza interessante, ma neppure all’altezza delle aspettative, pure apprezzando entrambi i gruppi e quindi accogliendo con paicere questa collaborazione, non posso negare che una certa componente monolitica troppo massiva ad un certo punto limiti di molto la fruizione dell’album. Questo vale particolarmente per le due lunghe sessioni “A Song To Get Rid Of The Crooked Crosses” e “The World I Hunt”. Le cose vanno meglio con il kraut Suicide di “Dazzling Rays” e il mantra drone di “Clamber Into Night”, ma la sensazione è che da questa partnership ne si potesse alla fine ricavare qualche cosa in più. Presentato proprio al festival della Fuzz Club, questo disco non è quindi a tutti gli effetti un manifesto e un disco che penso potrà essere apprezzato solo da chi ricerca suoni post-industrial massivi e densi e dove le ossessioni si dipanano come onde sonore invece che con quei martellamenti che poi sfociano in forme quasi “techno”. Agli altri dirà ben poco, ma mi sembra inevitabile perché in fondo non è che in ballo ci siano chissà quante idee.
65/100
Emiliano D’Aniello