Share This Article
Matthew Houck, cantautore classe ’80 proveniente da Huntsville (Alabama) ma con un vissuto tra Brooklyn e Nashville, arriva al settimo album con il moniker Phosphorescent e ad un buon lustro di distanza dall’ottimo “Muchacho”, che rileggeva la roots music da un lato arricchendola di profumi world come in “Song For Zula” e dall’altro con gli orizzonti pieni di malinconia di “A New Anhedonia”. In “C’est La Vie” non cambia di tanto la proposta musicale, quello che difetta è la scrittura, fine a sè stessa e ridondante soprattutto negli episodi che vorrebbero inserire Phosphorescent tra i nomi che contano – ovvero i singoli di lancio.
A partire da “New Birth In New England”, che linko qui sotto tratta da un’esibizione al Late Show di James Corden, notiamo un Matthew Houck supponente e da compitino per un pezzo in bilico tra le anime di Paul Simon e Mick Hucknall che risulta monotona e priva di originalità. Discorso simile vale per la piano ballad “C’est La Vie No.2”, storia di un uomo rinfrancato dall’amore e la costruzione di una famiglia – “I stood out in the night, In an empty field and I called your name, I don’t stand out all night in empty fields And call your name no more” – tematica anche della più frizzante seppur lunga “My Beautiful Boy” dedicata al figlio. “Christmas Down Under” scivola in territorio Dire Straits presentando un gustoso assolo di chitarra tra echi di vocoder, mentre i due brani paralleli “Black Moon/Silver Waves” e “Black Waves/Silver Moon” suonano per metà folk e per metà ambient quasi che i Fleet Foxes si facessero produrre da Daniel Lanois.
Il momento che spacca l’album però c’è e fa intendere che Phosphorescent non ha del tutto perso la sua vena creativa: si chiama “Around The Horn” e nei suoi otto minuti veniamo trasportati da una ritmica motorik su di un flusso nervoso di tastiere e pedal steel che lascia poi spazio all’annuniciazione dei versi, “Anything is fine/ Once you make it fine, yeah/ So don’t just sit there an cryin’/ Go on an make it right, yeah. Fa da contraltare “These Rocks” (la sua “Not Dark Yet”?), un lento blues di profondità che non sfigurerebbe proprio in un “Time Out Of Mind”. Ad ogni modo siamo di fronte ad un lavoro di transizione di Phosphorescent, senza infamia e senza lode.
62/100
(Matteo Maioli)