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Premessa: Questo articolo è rivolto con un occhio di riguardo a chi si occupa della cosiddetta “musica contemporanea” o “musica d’arte”, sempre più simile ad una ricerca scientifica oncologica piuttosto che all’espressione umana adoperata, come direbbe il Vivaldi,”at lenire li affanni”.
Arte e Intrattenimento si pongono come antipodali, ma potrebbero anche essere una sfumatura reciproca.
Declinati in modo diverso, acquistano o perdono valore intrinseco più o meno a loro insaputa.
Una delle differenze sostanziali tra Arte e Intrattenimento è il rapporto con il pubblico: nell’Intrattenimento il pubblico viene confortato, nell’Arte viene indifferentemente sorpreso o deluso.
Questa epoca generalista, sottopone qualsiasi fatto ad un processo di etichettatura sintetica (di tags), spesso attraverso incubazioni lessicali anglo-cibernetiche (vedi blue whale o artentainment o fake news).
Così l’Arte diventa sempre di più un settore e l’Intrattenimento un sincretismo che divora l’Arte stessa.
Sia pur coscienti o inconsapevoli, noi tutti adottiamo atteggiamenti sistematici di appartenenza tipologica.
Il “come vestirsi”, il “cosa comprare”, il “cosa dire” o il “dove stare”, ad esempio possono essere ispirati ad estetiche storiche pregresse (vedi i moustache inizio Novecento che vanno di moda oggi) e a tendenze sociali e divieti culturali del passato che possono interferire a livello essenziale su certe scelte personali per il futuro. Il passato può creare modelli per nuove forme di appartenenza (vedi i nuovi fascisti) e un giorno questi modelli potrebbero divenire degli obblighi, come avveniva nelle remote epoche tribali.
Gli artisti, anche i più liberi, non sono esenti da tutto ciò e possono diventare i più rigidi, intolleranti, omologati e opportunisti tra i soggetti sociali. Le tipologie disfunzionali sono precise e si presentano in ogni ambiente delle arti, indiscriminatamente da quello della composizione musicale a quello delle arti visive.
Nella musica contemporanea, per esempio, la ricerca della propria personalità attraverso la composizione storica può portare a pura vanità: docenti che, raggiunto uno status, riflettono se stessi senza riflettere l’allievo, frammentato in tanti piccoli specchi che riflettono a loro volta un modello istituzionale incrinato.
E l’altro guaio è che si ricerca la scientificità dei processi e si finisce col diventare sterili ingegneri della musica. Lo si capisce perché uno spirito d’artista (che magari è un cliché, d’accordo) non può passare attraverso tutto questo senza intoppi: subisce un adeguato addomesticamento che potrebbe, in alcuni casi demotivare.
La molecolarizzazione, la frammentazione, l’incostanza sono i tre pantoni dei colori nazionali: l’Italia, Stato filiforme che precipita in discesa, è incapace di solide iniziative interdisciplinari.
Forse l’Intrattenimento in Italia è più vario, meno ipocrita, e meglio disposto a fare i conti con la realtà.
È il momento che ci si adoperi ad una forma di recupero di un pubblico, anche nella musica d’Arte.
Lo si può fare solo se l’Arte esce dalla pratica di “giardinaggio del palazzo del Re” e prende coscienza di esser piombata in una pratica lussuosa e (dunque) futile.
A quel punto tutto tornerebbe ad ardere di nuovo desiderio e le persone diventerebbero uno dei parametri compositivi più importanti.