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I punti in comune tra Julien Baker, Phoebe Bridgers e Lucy Dacus sono tanti e già prima dell’arrivo di Boygenius era logico accostarle e ascoltare magari i loro dischi in un unico atto.
Se la Dacus rimane il lato più selvaggio e wild della band, dalla Baker, in particolare, ma anche da Phoebe, è possibile lasciarsi catturare da una dolcezza ultraterrena che schianta ogni nostra idea di autenticità.
Boygenius è un progetto capace di ridisegnare un’estetica generazionale, e se sembrava utopistico pensare a queste tre voci insieme, l’EP appena uscito ci dimostra quanto, ancora una volta, il reale superi la fantasia.
La paura di sentire tre anime diverse e separate in un lavoro così fresco e giovane c’era, ma da “Me and My Dog” (primo singolo uscito alcuni mesi fa) tutto era molto chiaro: la sensazione è sempre stata quella di trovarsi di fronte ad un disco da maneggiare con cura e ascoltare tanto, tantissimo.
Il senso dell’unicità è qualcosa che piano piano sparisce e si perde in un compassato e compiaciuto modo di scrivere dischi e fare arte; per questo c’è da scandalizzarsi quando Bansky irrompe con un trucco di classe in un’asta di Sotheby’s, minando proprio alle basi il circo che mette a repentaglio l’essenza dell’arte stessa. Ecco quindi come un progetto come Boygenius è fondamentale e catartico, perché tre personalità che si uniscono in un esperimento fuori dal tempo sono da ammirare e non solo per coraggio, ma anche perché creano qualcosa di splendido, che non necessita di serialità, discografie chilometriche e uscite continue.
Boygenius funziona perché risponde ad un’etica che va oltre l’annuncio e il comunicato stampa, dando spazio ad un modo nuovo di fare musica e raccontarsi.
Brani come “Stay Down” o “Bite The Hand” scompongono un’ intimità ricca di sentimenti, delusioni, dubbi e verità relative.
Queste tre autrici sono dei manifesti viventi di una generazione che fino ad oggi non aveva ancora dei profondi autori. La capacità di rimanere leggeri e sostanziali anche quando si racconta un mondo duro e pieno di difficoltà, è propria del trio, che riesce ad essere essenziale, vitale e attaccato alla vita emotiva di un ventenne di oggi.
Lo stridore di denti, biblicamente evocato, in un brano come “Salt in the wound”, è legato forse a quello che Lovercraft descriveva come :”Il sentimento più antico dell’umanità: la paura”.
“All good writers, feel the drag of the face on the other side of the age” ha scritto Virginia Woolf e questo senso storico, di capacità nel cogliere il continuum spaziale e temporale, può essere applicato anche a questi sei brani che compongono l’EP.
Questa nuova avventura musicale culminata in un EP e in tour arriva in un momento adatto, in cui si possono cogliere paesaggi sonori lussureggianti e maestosi che invitano alla calma, alla riflessione.
Un miracolo armonico: le Boygenius sono la miglior cosa del 2018.
Voto: 84/100